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Scuole, richiesta contributi alla famiglie: illegittimo imporli

Le scuole italiane, si sa, sono in una situazione economica ampiamente deficitaria, al punto che, qualche mese fa, i docenti hanno dovuto portarsi da casa la carta delle fotocopie e, in qualche caso più sfortunato, quella igienica. Eppure giungono a tal proposito notizie non molto confortanti. La richiesta di contributi alle famiglie, una delle forme di sostegno ai magri bilanci delle scuole più ampiamente usata, non è legittima ed è stata sanzionata dagli ispettori del ministero dell’Economia.  La Ragioneria generale dello Stato  ha infatti pubblicato l’elenco dei rilievi formulati nel corso di viste ispettive alle scuole, corredati dalla puntuale elencazione delle norme non rispettate; a tal proposito ha precisato, fra l’altro, che è “indebito l’accollo alle famiglie degli alunni di contributi dovuti in forma obbligatoria dagli Istituti”.
Se ripercorriamo la normativa a proposito della vexata quaestio, Il comma 622 della legge 296/06 (finanziaria 2007), dopo aver sancito l’obbligatorietà dell’istruzione per dieci anni ha tra l’altro confermato“il regime di gratuità ai sensi degli articoli 28, comma 1, e 30, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226” . Pertanto se ne desume che “In ragione dei principi di obbligatorietà e di gratuità , non è dunque consentito imporre tasse o richiedere contributi obbligatori alle famiglie di qualsiasi genere o natura per l’espletamento delle attività curriculari e di quelle connesse all’assolvimento dell’obbligo scolastico (fotocopie, materiale didattico o altro) fatti salvi i rimborsi delle spese sostenute per conto delle famiglie medesime (quali ad es: assicurazione individuale degli studenti per RC e infortuni, libretto delle assenze, gite scolastiche, ect). Eventuali contributi per l’arricchimento dell’offerta culturale e formativa degli alunni possono dunque essere versati dalle famiglie solo ed esclusivamente su base volontaria“.
Ora il problema è di natura linguistica: dovremmo metterci d’accordo sul significato dell’aggettivo “volontario”. Le scuole possono chiedere un contributo, ci mancherebbe: è come dire “aiutateci a tirare avanti la baracca.” Ma non possono imporlo.

Esiste poi un altro problema: il contributo deve avere una funzione ben precisa, che non è quella, come è diventata ormai in quasi tutte le scuole, di fare funzionare la scuola stessa; deve avere come scopo l’ampliamento dell’offerta culturale e formativa.
La legge n. 40/2007 (Fioroni) sottolinea che le “erogazioni liberali” a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, statali e paritari, si intendono finalizzate all’innovazione tecnologica, all’edilizia scolastica e all’ampliamento dell’offerta formativa e sono detraibili nella dichiarazione dei redditi. 
Insomma mettere in mano ai genitori un bollettino e dire “pagate” è palesemente illegale; dire “partecipate alla gestione della scuola, siate corresponsabili e partecipi della importanza del buon funzionamento dell’istituto” è un’altra cosa e potrebbe garantire risultati migliori, viste le numerose famiglie che ormai alzano le spalle e si rifiutano di sborsare soldi non dovuti.
Viene in mente un caso eclatante di una liceale genovese che è stata informata verbalmente dei voti del primo quadrimestre, proprio perché i genitori si erano rifiutati di pagare il balzello imposto. Niente pagella, dunque, anche se il famigerato contributo, a quanto pare, volontario non era e neanche obbligatorio…
Silvana La Porta

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