L’aumento generale dei costi di manutenzione, unito a degli insistenti tagli circa i fondi ivi destinati comporta ed aumenta i rischi relativi alla vetustà dei plessi scolastici. Un primo aspetto semplicemente osservabile è legato al clima. Le scuole, edifici poco moderni ed ideati, progettati e realizzati oltre 50 anni fa, si dimostrano sempre più insopportabili, poco resistenti e resilienti alle temperature in aumento. La chiusura anticipata o l’avvio in ritardo delle attività didattiche – come accaduto in alcune aree dell’Africa Centrale – ne costituiscono una prova.
Mancano impianti di areazione – cosa che ha complicato la lotta al COVID-19 – e basilari elementi di condizionamento e deumidificazione dell’aria, specie nei periodi più caldi. Il secondo elemento è legato ai materiali utilizzati per la costruzione degli edifici, spesso nel tempo rivelatisi inadeguati o addirittura pericolosi per la salute (il caso del RAAC – cemento utilizzato nel Regno Unito, ha sconvolto l’opinione pubblica locale). Segue poi lo scarso adeguamento ed efficientamento energetico degli edifici, i quali disperdono enormi quantitativi di energia, non ottimale per una transizione ecologica rallentata dalla patologica dipendenza dalle risorse fossili. I materiali, inoltre, tendono ad ospitare parassiti ed agenti eziologici indesiderati.
Un sondaggio condotto dal più grande sindacato educativo del Regno Unito sullo stato degli edifici scolastici in Inghilterra e Galles ha rilevato che due insegnanti su cinque segnalano segni di parassiti e più di un quarto si lamenta di perdite di fognature o acque reflue. Degli 8.000 membri della National Education Union che hanno risposto al sondaggio online, due terzi (68%) hanno dichiarato di lavorare in edifici che perdevano acqua, con uno su 10 che descrive il problema come “grave”.
Un terzo degli intervistati ha affermato che gli alunni frequentavano le lezioni in condizioni “fortemente surriscaldate” in estate e uno su sei (16%) si lamentava del forte freddo in inverno. Più della metà (57%) ha affermato che lo stato delle strutture scolastiche era così pessimo da avere un impatto negativo sull’ambiente di apprendimento. Lo stato fatiscente del vecchio patrimonio scolastico inglese è stato messo in risalto dalla recente crisi che ha coinvolto il cemento vetusto (RAAC, che sta per cemento aerato rinforzato autoclavato) che ha portato alla chiusura di emergenza delle scuole all’inizio del trimestre a settembre. Un’indagine parlamentare ha rilevato che 700.000 alunni studiavano in aule che necessitavano di un’importante ricostruzione o ristrutturazione.
Gli intervistati al sondaggio NEU si sono lamentati di finestre che non si aprivano o non si chiudevano, tappeti inzuppati di acqua piovana, muffa e relative aree in continuo sviluppo, buchi nei soffitti, caldaie fuori servizio e aule vietate a causa dell’amianto o del cemento sgretolato. Quasi la metà (45%) degli intervistati ha segnalato muffa o umidità sul posto di lavoro, mentre un quinto (21%) l’ha descritta come “moderata o grave”.
In Italia la situazione non è certo delle migliori: oltre la metà degli edifici ha oltre 50 anni e la limitata manutenzione o adeguamento impediscono non solo la didattica estiva, ma anche quella regolare. Le classi pollaio sono anche conseguenza di aree interamente inagibili degli edifici che ospitano le scuole. Altra problematica è rappresentata dall’amianto: dal relativo Osservatorio Nazionale Amianto emerge uno scenario preoccupante: sono 2.400 le scuole a rischio, che si traducono in 350.000 alunni e almeno 50.000 docenti che le frequentano con regolarità.
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