La tragedia del ponte Morandi Genova obbliga a porsi molte domande. Tra le quali la seguente: a quando il prossimo disastro? E ancora: potrebbe accadere una catastrofe simile in una scuola? Le cronache sono piene di notizie che fanno pensare di sì. Solo nell’anno scolastico appena trascorso, infatti, i crolli parziali in edifici scolastici sono stati almeno una trentina.
Lo scrive Cittadinanza Attiva (organizzazione fondata quarant’anni or sono, che «promuove l’attivismo dei cittadini per la tutela dei diritti, la cura dei beni comuni, il sostegno alle persone in condizioni di debolezza»).
Lo ribadisce sul Corriere della Sera Gian Antonio Stella, che aggiunge: «I cittadini devono essere informati. Perché sull’anagrafe degli edifici scolastici si gioca non solo il futuro edilizio della pubblica istruzione ma il diritto stesso dei nostri figli a studiare senza correre il rischio che cada loro in testa il tetto dell’istituto nel quale passano gran parte delle loro giornate».
Il problema non nasce certo oggi. Sono anni (se non decenni) che se ne parla insistentemente. Anche perché in Italia le ultime infrastrutture sono state costruite (tranne poche eccezioni) negli anni Settanta (scuole comprese). Dopo, si è preferito dedicarsi ad amministrare l’esistente (risparmiando pure sulla manutenzione) ed a privatizzare tutto il privatizzabile. Oggi la situazione è decisamente incancrenita.
«Essere inascoltati nel momento della prevenzione e pianificazione», ha dichiarato maggio Domenico Angelone, Consigliere Nazionale dei Geologi, «comporta sempre, come ha comportato fino ad oggi, catastrofi non degne di un Paese che si ritiene moderno. (…) L’Italia purtroppo ha sempre la memoria corta e dimentica facilmente le tragedie. Non dobbiamo dimenticare ma dobbiamo investire in prevenzione».
Forse la maggioranza dei nostri concittadini ha la memoria corta, o forse preferisce non ricordare e pensare a cose più allegre. Tuttavia da sempre si sa che più della metà degli istituti statali non hanno impianti elettrici, termici, idraulici norma, e che molti di essi non resisterebbero ad una scossa di terremoto di media intensità: di quelle, per intenderci, che in Giappone o negli Stati Uniti d’America non farebbero nemmeno un morto. Tutti ricordiamo a questo proposito, forse, la sorte della Casa dello Studente de L’Aquila, crollata col terremoto del 6 aprile 2009: a causa di errori nella ristrutturazione e nella manutenzione, come ha stabilito la Cassazione un anno e mezzo fa. Errori che costarono la vita ad otto studenti.
E come dimenticare la scuola elementare di San Giuliano di Puglia, nel cui crollo, alle 11,32 del 31 ottobre 2002, morirono ventisette bimbi di sei anni e la loro maestra? All’inizio la causa del crollo parve essere, anche lì, il terremoto, ma poi le indagini giudiziarie stabilirono che le responsabilità erano umane: e di nuovo per interventi edilizi errati o superficiali.
Non dobbiamo poi trascurare il problema dell’amianto, presente fin troppo spesso nelle scuole, con gravissimo rischio per la salute di tantissimi studenti, docenti e lavoratori.
Dal 2013 al 2017 sono avvenuti centocinquantasei crolli parziali in edifici scolastici (una quarantina all’anno in media): uno persino nello storico Liceo “Virgilio” di Roma.
Solo ventiquattro le persone ferite, tra studenti, docenti e personale amministrativo. Ma è giusto confidare sempre e soltanto nella protezione della Divina Provvidenza? Per il momento crollano “soltanto” controsoffitti, intonaci, solai, tetti. Non è poco, in realtà; ma evidentemente, finora, adulti e ragazzi sono stati protetti da “Santa Pupa”, come sussurra sarcastico l’umorismo romanesco. Ma non potrebbe prima o poi capitare qualcosa di veramente molto grave?
Gli ultimi Governi hanno sì stanziato denari per la manutenzione straordinaria, anche recentemente. Il problema però richiederebbe un piano straordinario di ricostruzione, i cui costi non sono consentiti dai vincoli europei e dalla logica neoliberistica sposata da tutti i Governi dell’ultimo quarto di secolo: una politica che tende a limitare fortemente la spesa pubblica, cedendo competenze ed appalti alle imprese private.
Quasi otto milioni di alunni. Oltre settecentomila docenti. Quasi centocinquantamila ATA. In totale poco meno di nove milioni di persone (circa il 13% della popolazione italiana) vivono ogni giorno nelle scuole. È giusto aspettare il prossimo disastro senza far nulla di concreto per evitarlo?
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