Mettere nelle condizioni gli studenti di fare proprie conoscenze e competenze di tipo anche professionale per renderli pronti ad essere collocati nel mondo del lavoro: è questo l’obiettivo di fondo che ha convinto il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara dare il via libera al liceo Made in Italy, dal quale usciranno giovani esperti di materie produttive, a potenziare i percorsi di Pcto, ma anche ad introdurre una globale riforma dell’istruzione professionale. L’idea, illustrata ai sindacati il 9 giugno, parte da un doppio bisogno: formare al meglio i nostri giovani, spesso con difficoltà trovare un’occupazione, e rispondere alle richieste delle aziende di personale già specializzato. Il dramma, ha spiegato Valditara, è che oggi gli istituti professionali, invece, perdono iscritti e non preparano come dovrebbero al lavoro.
Il progetto del Ministero è quello di rilanciare, quindi gli Istituti professionali, le Scuole regionali e Istituti tecnici superiori con investimenti sull’intera filiera.
Ecco come si intende procedere: gli studenti che prenderanno il diploma di maturità in un istituto professionale avranno un accesso diretto all’accademia superiore, gli Its Academy.
Secondo l’agenzia Ansa, inoltre, si prevede anche un anno in meno di studi per gli istituti professionali: si passerebbe da 5 a 4 anni, con una sperimentazione volontaria iniziale.
Le novità che riguardano le nuove scuole professionali dovrebbero entrare in vigore nella stagione 2024-2025.
I sindacati non l’hanno presa bene: “Si confonde l’istruzione con l’addestramento legato ai bisogni delle imprese “ora e adesso”, senza garantire agli studenti gli strumenti fondamentali per affrontare le complesse sfide del mondo del lavoro e soprattutto l’evoluzione dello stesso”, lamenta Mariagrazia Pistorino della Flc Cgil.
“Si ha l’impressione – continua la sindacalista – di essere di fronte a un disegno vecchio, ideologico che la scuola già in passato ha rifiutato con forza. Altrettanto problematico appare l’utilizzo strutturale dell’apprendistato di primo livello con l’evidente finalità di rendere rapida la transizione verso il lavoro una volta concluso l’obbligo scolastico”.
Secondo Pistorino, inoltre, “l’attuale modello dei Pcto, anziché essere ripensato, viene esteso. La portata di questo progetto, che riduce a quattro anni gli istituti tecnici e professionali, è talmente preoccupante che non ci rassicura il fatto che si prevede il mantenimento degli attuali organici”.
Secondo Ivana Barbacci, segretaria generale Cisl Scuola, invece, “è buona l’idea di aprire una sperimentazione, non prevedendo una riforma dall’alto”.
Il suo sindacato, comunque, ha “espresso una serie di osservazioni raccogliendo alcuni spunti positivi: non abbiamo respinto il modello, abbiamo chiesto un ponte concreto di confluenza di questi sistemi con gli Its Academy. Porre l’attenzione sull’istruzione tecnica e professionale può essere lo strumento per combattere la dispersione”, ha concluso Barbacci.
Anche lo Snals Confsal ha segnalato diverse criticità: la riforma dell’Istruzione tecnico professionale proposta dal ministero dell’istruzione – scrive il sindacato guidato da Elvira Serafini – ci porterà un’offerta formativa “orientata esclusivamente all’occupabilità ai danni della funzione della formazione generale”, con “incertezze sul mantenimento degli attuali organici allorché la sperimentazione andrà a regime”.
Lo Snals Confsal, inoltre, teme che vi siano “penalizzazioni dei territori più poveri, mancanza di una regia nazionale della sperimentazione, senza un modello teorico di individuazione dei destinatari, mancata condivisione della valutazione dei risultati degli attuali percorsi quadriennali”.
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