Le scuole non vanno chiuse: lo sostiene Daniele Novara, tra i più noti pedagogisti italiani: “Mi rivolgo al Governo e alle istituzioni perché sappiano respingere questa grave minaccia di riportare i nostri studenti alla chiusura casalinga che sostanzialmente vuol dire un ritorno a una condizione di consumo ludico tecnologico e di isolamento. Condizioni pericolose per la loro salute mentale che rischia una grave deriva depressiva”.
La Repubblica riporta le dichiarazioni di noti pedagogisti e studiosi dell’età evolutiva che si dichiarano tutti contrari alla chiusura delle scuole, da affettarsi solo come ultima e inevitabile spiaggia.
Sostiene infatti Novara: “A scuola gli indici di contagio sono bassissimi e quelli di malattia praticamente inesistenti” e “tutte le ricerche internazionali continuano costantemente a ribadire che i bambini non sono parte attiva della catena dei contagi e delle conseguenti patologie”. Suggerisce: “Occorre monitorare con attenzione le strutture, non certo pensare di svuotare le scuole lasciando una generazione in balìa del vuoto e del nulla con l’alibi della Didattica a distanza che non è vera scuola, ma un succedaneo indispensabile se veramente si rendesse inevitabile la chiusura delle scuole – che non è, in realtà, necessaria”. E conclude: “Ci vuole responsabilità in questi momenti, non scelte populistiche. Occorre evitare di riparare un danno rischiando di farne di molto peggiori”.
Ma anche Ernesto Caffo, professore di Psichiatria infantile e adolescenziale e fondatore di Telefono Azzurro, ricorda le richieste di aiuto in crescita durante il lockdown della scorsa primavera e in aumento anche ora: “Il disagio nella crescita di bambini e ragazzi privati della scuola è noto, in tutta Europa. Siamo stati i primi a dire di non chiudere tutto l’anno scolastico prima dell’estate, ora lo ribadiamo: la scuola non va chiusa, non a caso è rimasta al centro delle strategie di Paesi come la Francia e la Germania”. Per i più piccoli, inoltre “la scuola è un posto sicuro e di cura, soprattutto per quelli con famiglie più fragili. Per i grandi è l’ambiente che garantisce il rapporto tra pari di cui ha bisogno l’adolescenza. Gli insegnanti hanno fatto uno sforzo enorme, la scuola lo ha fatto: tornare al distanziamento sarebbe una scelta regressiva”.
Paola Bonifacci, psicologa ed esperta di disturbi dell’apprendimento dell’università di Bologna, teme che gli effetti della pandemia e delle chiusure abbiano più un impatto sullo sviluppo personale che non sulle loro conoscenze. Per i ragazzi, osserva, “è più grave il completo e totale cambiamento delle modalità di socializzazione e di relazione con gli altri”. Pesa anche l’assenza del rapporto, oltre che con i compagni, col docente che “ti guarda negli occhi e ti chiede cosa c’è che non va”. È su questo che bisognerà concentrarsi, segnala l’esperta, “più che sul recupero dei programmi”.
Italo Fiorin, docente di Pedagogia sociale alla Lumsa di Roma, dichiara: “Perdere l’esperienza dell’interazione in classe è un problema enorme per i bambini e i ragazzi. La rabbia è di aver sprecato un’opportunità, perché si doveva pensare ai trasporti, alla sicurezza fuori dalla scuola. Importante che le scuole restino aperte, soprattutto per i bambini più in difficoltà: molti in lockdown sono spariti dal radar dell’attenzione, gli alunni con disabilità e quelli stranieri, perché mancavano di appoggio a casa e in difficoltà con la lingua, hanno sofferto di più”.
“Se si devono fare delle scelte i primi da salvaguardare sono i più piccoli, gli alunni delle materne e della primaria, quelli più in difficoltà nella didattica a distanza a con il bisogno fisico di stare con altri compagni. Non va però dimenticato che soffrono anche i più grandi, brutto fare queste scelte. Se ci deve essere lockdown che sia limitato e in questo tempo di chiusura si pensi a garantire una ripresa”.
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