Volendo seguire il metodo di quell’antico procedimento conoscitivo, occorre puntare sulla fonti primarie, che hanno dato origine all’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di Istruzione e di Formazione.
Forse non tutti gli insegnanti conoscono veramente l’Invalsi. Ed è vero che a livello di opinione pubblica dominano più il “sentito dire” che la corretta informazione. Comprendere come funziona questo Istituto elimina alla radice molti equivoci, anche se il mondo della scuola non ha mai nascosto la sua avversione nei confronti dell’Invalsi.
Secondo il suo Statuto – allegato al Decreto Dir. Gen. Miur n. 11/2011, GU n.229 del 1° ottobre 2011 – l’Invalsi è un Ente di ricerca dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, sottoposto alla vigilanza del Miur (art. 17 del D.leg.vo 213/2009). Questo Ente ha raccolto, in un lungo e costante processo di trasformazione, l’eredità del CEDE (Centro Europeo dell’Educazione) istituito nei primi anni settanta del secolo scorso. La Direttiva Miur n. 88 del 3/10/2011 recita testualmente: “Obiettivo di sistema della valutazione esterna degli apprendimenti è quello di promuovere un generale e diffuso miglioramento della qualità degli apprendimenti nel nostro Paese, avendo riguardo, in particolare, agli apprendimenti di base. Per ciascuna scuola le rilevazioni nazionali consentiranno di acquisire i risultati nazionali di riferimento e i propri dati aggregati a livello di classe e disaggregati per ogni singolo item. Ciò con l’obiettivo di disporre della necessaria base conoscitiva per: individuare elementi di criticità in relazione ai quali realizzare piani di miglioramento dell’efficacia dell’azione educativa; evidenziare situazioni di qualità da mantenere e rafforzare; apprezzare il valore aggiunto realizzato in relazione al contesto socio-economico culturale, al fine di promuovere i processi di autovalutazione d’istituto”.
Persino Berlusconi, rispondendo alla famosa lettera riservata della Bce (a firma di Trichet e Draghi del 5/8/2011), ha preso degli impegni precisi con l’UE: “L’accountability (ndr. la capacità di un sistema di identificazione) delle singole scuole verrà accresciuta (sulla base delle prove Invalsi), definendo per l’anno scolastico 2012-13 un programma di ristrutturazione per quelle con risultati insoddisfacenti”. E da parte sua Roberto Ricci (allora responsabile del Servizio Nazionale di Valutazione) in un seminario di studio sul “Valore Aggiunto”, aveva così riassunto i compiti dell’Invalsi per il 2012:
1. Consolidare la qualità delle prove
2. Costruire le scale di competenze sul modello PISA
3. Sviluppare valutazioni longitudinali (cioè nelle quali sia possibile seguire i risultati di ogni studente lungo le successive prove Invalsi e tracciarne la curva di crescita)
4. Effettuare valutazioni di valore aggiunto delle scuole.
In base poi al comma 2 dell’art. 51, della Legge n. 35 del 4/4/2012 su “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo” al fine di ottenere il “Potenziamento del sistema nazionale di valutazione”, è stato stabilita l’obbligatorietà delle prove INVALSI con questa dicitura “Le istituzioni scolastiche partecipano, come attività ordinaria d’istituto, alle rilevazioni nazionali degli apprendimenti degli studenti”.
Solo però che “le istituzione scolastiche” non coincidono con i singoli docenti, soggetti responsabili che godono di pochi diritti e devono rispondere a molti doveri. Le istituzioni non sono “persone fisiche” e anche se il collegio dei docenti viene equiparato a “persone giuridiche” la giurisprudenza si è espressa in senso contrario.
All’interno del mondo della scuola, le maggiori critiche all’Invalsi derivano dai sindacati, che hanno mosso obiezioni di incostituzionalità ed evidenti conflitti rispetto a norme di leggi non abrogate. Quel comma 2, sarebbe in conflitto con l’art. 5, comma 7, del D.leg.vo 297/94 (il Testo Unico) che afferma: “Negli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, le competenze relative alla valutazione periodica e finale degli alunni spettano al consiglio di classe con la sola presenza dei docenti.” Inoltre risulterebbe anche in conflitto con l’art. 21, comma 9 della legge n. 59/97, che assegna all’autonomia didattica degli istituti i processi di autovalutazione. L’autonomia didattica è finalizzata al perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione ma nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie e del diritto ad apprendere. Il D.P.R. n. 275 dell’8/3/1999: Regolamento attuativo della Legge sull’autonomia scolastica, prevede che l’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento. Infine, quel comma 2 che “obbliga” le istituzioni scolastiche a sottoporre tutti gli studenti a test standardizzati preparati dall’Invalsi, contrasta col comma 1 dell’art. 33 della Costituzione italiana: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” e col comma 3 dell’art. 117 che riguarda l’autonomia delle istituzioni scolastiche.
E’ risaputo che il Miur non ha risposto in modo esaustivo a queste 3 domande:
1. Che cosa intendono valutare queste prove Invalsi?
2. Che cosa e come si può valutare un percorso scolastico?
3. I test Invalsi servono solo per fare delle statistiche?
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