Meno dell’1% dei lavoratori della scuola ha partecipato lo scorso 6 maggio allo sciopero indetto dai dai sindacati di base: Cub Sur, Cobas Scuola, Usb, Unicobas e Cobas scuola Sardegna, Saese, Anief.
A conti fatti solo qualche migliaio ha lasciato il lavoro su una popolazione di oltre un milione di persone.
Non è andata tuttavia meglio all’altro sciopero proclamato dai sindacati più rappresentativi: Flc-Cgil, Uil-Scuola, Gilda Unams, Snals, lo scorso 10 dicembre al quale hanno aderito meno di 75mila dipendenti, pari al 6,74% (dati ufficiali).
Forse in nessun altro comparto si registra tanta disaffezione alla protesta, nonostante le piattaforme dei sindacati siano più che motivate e robuste, e più che degne di essere portate all’attenzione del ministero dell’istruzione.
Come questa ultima che non si distacca molto dalle precedenti: aumento dei salari, riforma delle pensioni, contratti di lavoro stabile, rinnovo del contratto di lavoro e contro le classi pollaio, i concorsi incoerenti e mal posti, la riduzione della carta del docente, aggiornamento obbligatorio per avere scatti stipendiali, ecc.
Ma non è andato neanche bene quello prima e quello prima ancora e ogni anno che passa la partecipazione agli scioperi è sempre più lontana e distaccata, sempre meno partecipata. Che sta succedendo, si chiedono tanti insegnanti che capiscono il peso della protesta, soprattutto in riferimento agli stipendi e al contratto di lavoro?
Difficile fare un’analisi in un universo contrassegnato da intellettuali adusi ad essere “i commessi della cultura dominante”, più attenti al decoro personale che alla lotta di classe dentro cui si immergono tutti gli altri lavoratori e gli operai soprattutto, mentre la grande presenza femminile, circa lil 70% della forza lavoro della scuola, con ogni probabilità non si sente coinvolta nel dissenso, nel senso che per tante di esse questo lavoro è un ripiego o un accessorio piuttosto che l’unica fonte di reddito.
Da qui pure una amara riflessione, quando da parte di molti docenti arrivano accuse contro il sindacato che li avrebbe traditi e che non fa più l’interesse dei lavoratori.
Se la sciabolata dello sciopero non è sferrata senza la dovuta forza e dunque se così scarna è la percentuale delle adesioni, la capacità contrattuale del sindacato si smorza, mentre l’istituto della delega, al quale moltissimi si inchinano, consente pure flop partecipativi del genere sopra descritti.
Infatti, sono ancora in tanti coloro i quali, per giustificare la loro astensione agli scioperi, amano ripetere che la protesta voluta dei sindacati non è funzionale agli interessi del personale ma al perseguimento di benefici per loro, portando come prova, per esempio, la presunta intenzione di gestire i corsi di aggiornamento.
In ogni caso, il popolo della scuola si dovrebbe mettere d’accordo con se stesso, dovrebbe esaminare al suo interno i motivi di una così scarsa partecipazione agli scioperi, perfino per sul salario e nonostante le piattaforme siano così corpose e così pertinenti ai loro bisogni.
Ma dovrebbe pure recuperare la sua funzione all’interno della società, dimostrando il suo valore anche nelle piazze e anche nel lasciare le classi per lottare al fine di raggiungere i propri obiettivi contrattuali. Ma dove dovrebbe porre questi interrogativi e condurre questa analisi se non all’interno del sindacato?
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