Il Consiglio di Stato con la sentenza 3787/2016 ha reso giustizia ad un laureato cui l’università aveva revocato la laurea dopo essersi tardivamente accorta dell’invalidità del suo diploma di maturità.
Il caso di un ragazzo che si è laureato, ma che in realtà non aveva validamente conseguito il diploma di istruzione secondaria di secondo grado, è raccontato dal Sole 24 Ore
Preso il titolo di dottore, dopo circa dieci mesi accadeva però che l’Ateneo meneghino, a seguito di una verifica fatta sull’autodichiarazione prodotta in sede di immatricolazione, si accorgeva che in realtà l’ex studente non aveva validamente conseguito il diploma di istruzione secondaria di secondo grado: il liceo privato presso cui il ragazzo aveva conseguito la maturità classica non esisteva, o meglio, pur non essendo riconosciuto dallo Stato, veniva spacciato per scuola parificata. Di qui, da una parte, la vicenda penale che ha visto l’ex studente riconosciuto come vittima, insieme ad altri numerosi ragazzi, dei reati di truffa e di falso in atto pubblico; dall’altra parte, la decisione dell’Ateneo, vista l’assenza di un valido titolo di accesso agli studi universitari, di provvedere a revocare l’immatricolazione dello studente e tutti gli atti della sua carriera universitaria, ivi compreso il titolo finale.
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Se il Tar in primo grado conferma la bontà della scelta dell’Università, in appello i giudici si esprimono in favore del laureato. Per il Consiglio di Stato, dal quadro fattuale della vicenda emerge che il ragazzo era totalmente ignaro della non validità del suo titolo di studio, anzi, al contrario, è chiaro che lo stesso è stato una «vittima inconsapevole di reati consumati ai suoi danni». Di conseguenza, mancando l’elemento soggettivo della falsità della autodichiarazione, viene meno il presupposto per l’emanazione dell’atto in autotutela adottato dall’Università.
Inoltre, per i giudici di Palazzo Spada, spiega Il Sole 24 Ore, al medesimo risultato si giunge anche considerando i normali presupposti in presenza dei quali, ai sensi dell’articolo 21-nonies della legge 241/1990 (legge sul procedimento amministrativo), si può procedere all’annullamento d’ufficio di un provvedimento, ovvero ragioni di interesse pubblico, termine ragionevole ed interessi dei destinatari e dei controinteressati.
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