In un articolo del Corriere della Sera si riportano spaccati della vita quotidiana nelle nostre scuole.
“Sogna di essere un intellettuale della formazione, l’insegnante di italiano, ma si definisce “un missionario dell’istruzione”. Aspira a un ruolo da protagonista nei progetti, ma è mortificato da straordinari irrisori e dal nuovo ruolo del preside-manager. Il preside-manager “È preda di un’ebbrezza da sperimentazione”. “Peggiora la scuola e crea dissapori fra colleghi». Il clima nei corridoi è teso. Invidie per lo staff del dirigente, colleghi additati come «capetti», guerre fra poveri per la spartizione del Fondo scolastico. E i migliori se ne vanno. C’è chi sceglie il part-time e chi si tuffa nelle consulenze. Emergono rabbia ed entusiasmo, quasi una doppia personalità”. Si riportano inoltre riflessioni amare: “ la “Ci trattano da impiegati, ma a me piace vedermi come un intellettuale della formazione”; “Gran parte del nostro lavoro è invisibile”, “Se scioperano i camionisti è un problema, se scioperiamo noi chi se ne frega”. Ma allora se il prof è visto da tutti come un missionario e non come un professionista della didattica, perché prendersi la briga di retribuirlo ?