Una “retorica trita e ritrita” quella dei cervelli in fuga, dalla quale “è importante uscire”: lo ha sostenuto il premier Matteo Renzi durante il suo viaggio in Usa.
“In un mondo globale”, ha continuato, lasciare l’Italia “può non essere una fuga ma un’occasione anche per il territorio d’origine. A condizione che si affermi la legalità, si riduca la burocrazia e si crei finalmente una finanza per le piccole imprese in grado di far girare le idee. E di realizzare i sogni che tanti di questi ragazzi hanno”.
A ha raccontato, scrive Il Fatto Quotidiano, di avere incontrato a Boston una quindicina di giovani ‘cervelli’ durante una “prima colazione intrigante” da cui sono uscite “idee, proposte concrete, progetti di apertura di startup a Palermo e a Napoli“.
“Ormai – ha osservato ad Harward – sta diventando una consuetudine: in tutti i viaggi cerco sempre di incontrare gli studenti e i professori di una università. Credo infatti che proprio in queste aule si respiri il futuro più che altrove e ritengo sia un dovere civico confrontarsi con il corpo docente e gli studenti. Il tour universitario è partito a Bologna, nell’università più antica del mondo ma ha toccato la Germania e il Kenya, il Cile e il Senegal, la Sorbona e Georgetown“.
E infine la promessa: “Continueremo a girare per università con le proposte italiane per un’Europa più umana”.
{loadposition bonus}
Tuttavia nella sua foga retorica non ha fatto nessun riferimento agli oltre 66mila ricercatori precari dell’università italiana, un numero superiore a quello di professori e ricercatori a tempo indeterminato messi assieme e che spesso lavorano gratuitamente.
E neanche un accenno ai numeri relativi alla “fuga” dei ricercatori all’estero – in aumento negli ultimi anni -, spesso per mancanza di alternative che valorizzino il loro percorso professionale.
Secondo l’Associazione precari della ricerca italiani quelli che oggi lavorano all’estero sono 12mila. Ogni anno se ne vanno in più di tremila e l’Italia rischia di avere 30mila connazionali fuori dai suoi confini entro il 2020, mentre un dossier di febbraio ha sottolineato come la fuga dei cervelli possa compromettere la competitività dell’Italia e la sua crescita. Il numero di giovani altamente qualificati che emigrano all’estero è cresciuto rapidamente a partire dal 2010 e non è stato compensato da flussi di italiani, con pari qualifiche, che hanno fatto rientro in patria. E non si tratta nemmeno di “scambio” di cervelli: perché sono pochi gli stranieri altamente qualificati che scelgono l’Italia come Paese di destinazione.