“Delitto di abuso dei mezzi di correzione”: è stata questa la motivazione di una sentenza che ha condannato una prof,colpevole di aver usato, ai danni di tre sue alunne, atteggiamenti minatori e ricattatori, costringendole addirittura a scrivere una lettera, indirizzata al preside della scuola, nella quale ritrattavano le accuse rivoltele precedentemente. E la bocciatura, per volere della legge, si è trasformata in promozione.
Nella fattispecie, commenta Il Fatto Quotidiano, si tratta di reato in cui può incorrere chiunque abbia persone sottoposte alla propria autorità o a lui/lei affidate per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, e che nello specifico prevede un qualsiasi comportamento che “umili, svaluti, denigri o violenti psicologicamente un alunno causandogli pericoli per la salute”.
Tuttavia quale valore dare all’abuso dei mezzi di correzione aggravato e continuato, esplicatosi, sempre secondo la sentenza della CdC, con le minacce di bocciatura e voti bassi, ingiustificabili?
In modo particolare se viene tolta la possibilità di usare parole come “ti boccio”, che costituiscono reato, ma che dovrebbero invece incutere un ravvedimento circa il proprio iter curricolare, è evidente, scrive Il Fatto, che si vuole privare la classe docente di ogni mezzo di avvertimento, ammonimento o richiamo possibili, esautorandola di fatto del proprio ruolo educativo: una scuola dunque di docenti/impiegati alla quale viene tolta metà della propria ragion d’essere. Alla didattica infatti l’istituzione scolastica, da che mondo e mondo, affianca una funzione prettamente educativa, preparando le nuove generazioni alla vita e al mondo lavorativo.
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Da oggi però l’eccesso di metodi educativi leciti costituisce, secondo la giustizia italiana, reato: chi stabilisce, a questo punto, quale sia il limite oltre il quale l’uso di metodi educativi legittimi sconfini nell’eccesso? Se la materia è incredibilmente fumosa, è però certo l’ennesimo segno di una totale sfiducia nei riguardi delle figure degli educatori e, nello specifico, dell’istituzione scolastica.
Se infatti si sposta la faccenda in ambito familiare con un padre che promette il motorino al figlio se è promosso e poi, constata la bocciatura, il padre gli fa una bella ramanzina (mai più motorino, asinaccio) e non gli compra più quanto promesso, potrà il figlio, indispettito dal comportamento del padre, valuta l’opportunità di farsi assistere da un avvocato? Secondo quanto disposto dai giudici contro la professoressa, la questione per certi versi è similare, e il genitore verrebbe condannato a regalare il motorino al figliolo anche qualora lo stesso venga bocciato, e questo come risarcimento delle reiterate “violenze psicologiche” foriere di forti malesseri mentali
Per colui o coloro i quali si trovino a svolgere una funzione educativa o di controllo, la possibilità di ricorrere a mezzi di ammonimento e, se del caso, reiterarli nel tempo, colpisce in particolare come quello che fino a ieri era un monito comunemente accettato in ambito educativo e scolastico, oggi costituisca reato. E i docenti devono fare attenzione, mentre nessuno dei giudici ha valutato l’ipotesi che, per non incorrere dentro maglie tanto assurde della legge, potrebbero essere in tanti a promuovere senza merito asinacci incalliti e strafottenti virgulti
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