“Signori e Signore, se volete farvi strada, se volete diventare qualcuno dovete svegliarvi e stare in campana, belli. Perché il vero mondo è lì fuori. E a loro non interessa quanto vi crediate fichi o con chi ve la sparate! Non interessa a nessuno! Se non avete un’istruzione, non avete niente. Così stanno le cose, belli!”.
È un passaggio tratto dal secondo film “Sister Act”, del 1993.
Sono passati trent’anni, e il mondo da allora è cambiato tante volte, da diverse angolazioni.
Ma la sostanza è rimasta la stessa, sul piano educativo e formativo.
E le parole di suor Maria Claretta, che impersonava una cantante che, per sfuggire dai gangster, si era nascosta in un convento facendo l’insegnante di musica, possono, quasi alla pari, essere ripetute anche oggi.
Rispetto ad allora, al di là dell’evidente disagio sociale del quartiere protagonista del film, in più abbiamo la rivoluzione digitale, con la sovrapposizione del virtuale al reale, con la cultura dell’apparire a farla da padrona.
Ma, lo ripeto, mutatis mutandis la sostanza non è cambiata.
E la sostanza ci dice che “se non avete un’istruzione, non avete niente”.
La cosa anche oggi vale, ovviamente, per i nostri ragazzi, ma vale anche per tutti noi.
Perché i social avranno dato l’illusione che tutti possano, solo con qualche click, avere sottomano tutte le possibili informazioni. Ma l’informazione da sola non basta. Ci vuole il sano sudore, cioè la “fatica del concetto”. Quindi lo studio, l’approfondimento, la competenza. Fatto da soli, per la motivazione che ci deve animare, ma non solo da soli. Perché si impara insieme, ragionando, domandando e rispondendo, anche a volte litigando. Sotto la guida di docenti-maestri, capaci di aiutare nel metodo della ricerca e nel merito del confronto critico.
Ecco l’importanza della formazione, ma fatta a scuola, nelle università, nei centri di ricerca. E poi arricchita con le mille opportunità offerte anche dalla mitica Rete.
E non c’è intelligenza artificiale che tenga, senza la guida dell’intelligenza umana. Perché le tecnologie sono e rimangono sempre strumenti. Ma non potranno mai soppiantare il nostro pensiero. Importanti, stimolanti, di aiuto, di integrazione, ma sempre strumenti eticamente utilizzabili da chi, appunto, riesce a fruirne il valore ma anche il limite.
Ad organizzare il cammino di ricerca siamo sempre, perciò, noi umani.
Che valore dare, ad esempio, ai 25 anni della presenza di Google nella nostra vita? L’idea che ne è all’origine parlava di “sistematizzare ed organizzare la conoscenza”. Quindi la nostra vita.
Un programma-interfaccia, per tanti unico, tra le nostre domande e le possibili risposte.
Ed in base a cosa viene stabilita la credibilità, cioè la verità di una risposta?
Sono le fonti, i documenti, il confronto e le comparazioni, la logica della non-contraddizione?
No, in Google è il rank, cioè l’algoritmo che produce una sorta di classifica di affidabilità. E dire affidabilità è dire comunque un “atto di fede”.
Un tempo ci si diceva: l’ha detto il giornale, o il tg, ora ci si affida ad Internet come fosse la fonte sicura di verità. Mentre così non è.
Ecco il valore della scuola, dell’Università, di tutte le forme trasparenti di informazione che cercano di farsi formazione. Che è dare forma a possibili domande per possibili risposte.
Col vecchio Platone, “perché, in ogni caso, quello che si deve esaminare non è chi l’ha detto, ma se è vero o no” (Platone, Carmide, 161 c).
Ecco il vero dialogo culturale, mentre i social spingono al moltiplicarsi di infiniti monologhi.
Con una appendice. Diventare capace, ragionando assieme, di distinguere la persona dal problema. Perché, come scrisse qualcuno, noi non siamo le opinioni che abbiamo. E le persone si rispettano a prescindere, ma per discutere e dialogare è imprescindibile imparare ad ascoltarsi.
Per cogliere le ragioni, le intenzioni, il filo dei pensieri. In modo reciproco, aperto, coinvolgente. Gli uni per gli altri, senza pre-giudizi, barriere, muri di gomma.
Dunque, come sempre, è la domanda di verità che riesce a fare capolino. E la verità è presente in ciascuno, ma non è di nessuno.
Tant’è che ogni critica non può che essere anche autocritica. Ma autocritica si spera sempre fondata, ragionata, argomentata.
Così, il vero dialogo non umilia mai nessuno. Buon anno scolastico a tutti.
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