Categorie: Politica scolastica

Se passa il Ddl, ogni tre anni i presidi cambieranno sede a 200mila prof.

Coinvolti i 50mila che verranno assunti la prossima estate, altrettanti legati all’organico funzionale e i 100mila insegnanti che rientrano nella mobilità o che hanno perso la cattedra perché in sovrannumero. Nell’articolo 7 del testo di riforma, fresco di bollinatura della Ragioneria dello Stato ed in arrivo alla Camera, si stabilisce che saranno individuati dai dirigenti scolastici gli incaricati triennali della docenza per la copertura dei posti assegnati alla loro scuola. Si sposteranno, come “pedine” del Monopoli, in base a dove vi saranno più iscrizioni.

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è una scelta che spazza via le regole per fare spazio alla discrezionalità, prestando così il fianco ai ricorsi. Del resto, come potrebbe non finire nelle aule giudiziarie un modello organizzativo che non rispetta più i parametri base delle selezioni del pubblico impiego, ma che si lascia andare, su spinta del Governo e forse del Parlamento, verso le derive autoritarie della chiamata diretta?

Se il disegno di legge sulla scuola, approvato dal CdM e presto all’esame della Camera, dovesse passare così come è stato formulato, per 200mila docenti si prospetta un futuro professionale con la valigia in mano. Con la sede di servizio che varierà sulla base delle esigenze dell’amministrazione. La novità è introdotta nel testo approvato dal Governo, all’articolo 7, che dà facoltà al dirigente scolastico di istituto di proporre “gli incarichi di docenza per la copertura dei posti assegnati all’istituzione scolastica cui è preposto sulla base del Piano triennale di cui all’articolo 2, ai docenti iscritti negli albi territoriali di cui al comma 4, nonché al personale docente di ruolo già in servizio presso altra istituzione scolastica”. Per fare ciò, ai presidi si darà la possibilità di attribuire i ruoli ai docenti individuando “incarichi di durata triennale rinnovabili”.

Di seguito, nello stesso articolo del Ddl si stabilisce che “al personale docente già assunto a tempo indeterminato alla data di entrata in vigore della presente legge non si applica la disciplina dell’iscrizione negli albi territoriali e di proposta dell’incarico da parte del dirigente scolastico di cui al comma 2, salvo che in caso di mobilità territoriale e professionale, all’atto della quale anche i docenti in questione sono iscritti negli albi di cui al presente comma”.

Pertanto, una volta approvata questa norma e i conseguenti decreti attuativi, per tutti i prossimi docenti assunti, sia su posti vacanti a settembre 2015, sia su organico funzionale l’anno successivo, non ci sarà scampo: entreranno nei ruoli dello Stato privi della sede di titolarità e fortemente subordinati, dopo un triennio, alle fluttuazioni degli organici. Si sposteranno, come “pedine” del Monopoli, in base a dove vi saranno più iscrizioni. Ma la stessa sorte, quella della mancanza di una sede di servizio, con il pericolo di essere spostati anche a centinaia di chilometri da casa, toccherà pure ai circa 100mila docenti che ogni anno chiedono di essere trasferiti, di passare di ruolo o di cattedra. E alle migliaia che vengono assorbiti, loro malgrado, nella spirale della soprannumerarietà.

Tutti costoro, indistintamente, si troveranno a dover fare i conti non più con delle regole chiare, definite e logiche (anzianità di servizio, anche pre-ruolo, esigenze di famiglia, titoli conseguiti e via dicendo), ancorché migliorabili. Ma avranno a che fare, piuttosto, con la discrezionalità del dirigente scolastico. Il quale, una volta rese pubbliche le metodologie prescelte, non dovrà rendere conto a qualsivoglia rivendicazione. Sarà poi l’amministrazione centrale a dover tenere conto delle richieste che arriveranno, inevitabilmente, dai giudici dei tribunali; dove, ne siamo certi, si moltiplicheranno i ricorsi. E non lo sostiene solo il giovane sindacato: “il nuovo sistema – scrive Italia Oggi – ponendo quale unico vincolo la necessità di rendere pubbliche le motivazioni delle scelte di dirigenti scolastici sembrerebbe offrire il fianco ad ogni sorta di azione legale”.

“Del resto – dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – come potrebbe andare diversamente, come potrebbe non finire nelle aule giudiziarie, un modello lavoro che non rispetta più i parametri base delle selezioni del pubblico impiego, ma che si lascia andare, su spinta del Governo e forse del Parlamento, verso le derive autoritarie della chiamata diretta? Sulla questa modalità distorta di reclutamento e gestione del personale, ricordiamo che la Corte Costituzionale si è già espressa, con la sentenza 66/2013: si tratta di un parere formulato, allorquando la giunta della Regione Lombardia tentò il colpo di mano incentrato proprio sulla discrezionalità di scelta”.

“Non riusciamo a comprendere come si possa pensare di abbandonare la strada che porta ad individuare il docente meritevole a ricoprire una cattedra d’insegnamento, quella che prende in considerazione i suoi titoli conseguiti, il servizio svolto e le capacità, conoscenze e competenze dimostrate nel corso di almeno uno dei concorsi pubblici a cui ha è partecipato. Lasciare tutto ciò per sposare la causa degli albi territoriali – conclude Pacifico – mina, in un colpo solo, quel principio di buon andamento, imparzialità e ragionevolezza a capo della gestione del servizio pubblico”.

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