Sono gli anni 70 e l’Italia viene insanguinata, piangendo le morti di due personalità importanti che segneranno le sorti della storia contemporanea. Il 9 maggio del 1978, infatti, furono trovati privi di vita i corpi di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana in via Caetani (Roma) e Peppino Impastato, giornalista e attivista antimafia, a Cinisi (Palermo).
La morte del presidente Aldo Moro è stata iscritta tra i misteri della storia d’Italia e, ancora oggi, è difficile darne una connotazione precisa e risolutiva, proprio perché contiene tracce irrisolte della politica degli anni settanta.
Sono stati 55 i giorni in cui l’onorevole Aldo Moro fu tenuto prigioniero dalle Brigate Rosse, organizzazione terroristica italiana di estrema sinistra, nata nelle fabbriche del Nord e, alla fine, sconfitta dal movimento operaio del settentrione, proprio perché non si riconosceva in esse.
Il 16 marzo 1978 Aldo Moro venne rapito in via Fani, mentre la sua scorta fu “annientata”, come avrebbero scritto le stesse BR in uno dei tanti comunicati inviati. Si susseguirono giorni di richieste che, però, non trovarono terreno fertile negli esponenti politici di quel tempo. Come dichiarato da Vittorio Vidotto, professore alla Sapienza di Roma, nel suo saggio Il delitto Moro: “[…] in quei giorni di apprensione a fianco all’ondata di panico del popolo italiano ci fu anche un’altra reazione: in molte scuole superiori delle grandi città i giovani manifestarono il loro entusiasmo per l’azione dei brigatisti”.
I giorni passati nella prigionia furono scanditi non solo dai comunicati stampa che le BR mandavano puntualmente alle testate giornalistiche, ma anche dalle lettere, scritte di pugno da Aldo Moro (nonostante qualcuno ne mettesse in dubbio la veridicità). Oltre a quelle indirizzate ai politici, tra cui Craxi, Zaccagnini, Cossiga e Andreotti, ce ne furono diverse riservate alla famiglia, lettere da cui traspare il lato emotivo di un uomo prigioniero lontano dagli affetti.
Destinatari principali furono la moglie, la “dolcissima Noretta“, come Moro la chiamò nell’ultima lettera che le scrisse dalla prigionia e i quattro figli Maria Fida, Agnese, Anna e Giovanni: “Ti abbraccio forte, Noretta mia, morirei felice se avessi il segno della vostra presenza, sono certo che esiste, ma come sarebbe bello vederla”. Le Brigate rosse non hanno, però, mai consegnato questa lettera, ritrovata solo anni dopo che l’onorevole fu ucciso.
Il corpo venne fatto ritrovare sul bagaglio di una Renault 4 rossa, simbolo degli anni di piombo, in via Caetani, pieno centro di Roma. Un punto strategico perché a metà strada tra le sedi di PCI e DC e che sottolinea il gesto di sfida delle BR.
La figura di Aldo Moro ha un posto di rilievo anche nella storia della scuola italiana: oltre ad essere stato un grande politico, nel 1958, durante il suo mandato come ministro dell’Istruzione, fece approvare la prima legge italiana sull’insegnamento dell’Educazione Civica; dieci anni dopo, nel 1968, da Presidente del Consiglio, fece approvare, dopo diverse traversie, la legge per istituire le scuole materne statali.
L’uccisione di Peppino Impastato, giovane giornalista, conduttore radiofonico e attivista siciliano è passata in secondo piano a causa del delitto Moro.
Il giornalista, nato da una famiglia mafiosa, si rifiutò di seguire le orme del padre e degli zii tanto da decidere di andare via di casa e intraprendere un’attività politico-culturale antimafiosa. La decisione di candidarsi alle elezioni comunali nella lista di Democrazia Proletaria non venne vista di buon occhio, tanto che, durante la campagna, la notte del 9 maggio 1978, a Cinisi, in provincia di Palermo, venne assassinato con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Il mandante fu Gaetano Badalamenti che pensò di inscenare un suicidio, provando a rovinare anche l’immagine pubblica della vittima. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi votarono comunque il nome di Peppino Impastato, riuscendo a eleggerlo simbolicamente al Consiglio comunale.
Fu grazie alla forza e alla determinazione della madre Felicia e del fratello Giovanni che la figura di Peppino non è mai stata abbandonata e che, ancora oggi, è simbolo della lotta alla mafia in Sicilia e nel resto della penisola, con l’ideazione di associazioni, manifestazioni e attività di legalità a scuola in sua memoria.
“Se si insegnasse la bellezza alla gente – ha detto Peppino Impastato – la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. […] È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”.
Quegli anni portarono con sé il peso delle stragi e del terrorismo che, però, ne deforma l’importanza del passaggio epocale. Si tratta di un decennio di grandi trasformazioni sociali, del referendum sul divorzio, della secolarizzazione e modernizzazione del paese e di un’estensione dei diritti dei cittadini. Il caso Moro non poté che segnare un crocevia nella storia democratica della Repubblica, con conseguente cambiamento della politica italiana.
Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha espresso un pensiero, affidato a Twitter, in ricordo di tutte le vittime di terrorismo, sottolineando l’importanza del ruolo della scuola nella valorizzazione dei principi democratici. “Oggi, 9maggio, dedico il mio pensiero a tutte le vittime del terrorismo. La scuola deve essere sempre il presidio dei valori costituzionali e dei principi democratici. Un ricordo commosso e riconoscente a coloro che hanno dato la vita per difendere democrazia e libertà”, queste le sue parole.
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