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Se un docente denigra i propri colleghi compie un reato

Il docente che mal si comporta e parlando con gli studenti critica, con intento denigratorio, i propri colleghi di scuola, compie un reato penale.

In ogni scuola tra insegnanti esistono incomprensioni e dispute, ma a volte ci sono casi dove il problema può degenerare. Infatti esistono dei casi in cui certi insegnanti, mancando completamente di deontologia professionale, durante le ore di lezione e in presenza dei propri allievi, criticano pesantemente qualche loro collega. Bisogna sapere che parlare male di un proprio collega o del proprio Dirigente scolastico, davanti ad una classe e mentre si sta svolgendo un’ora di lezione, potrebbe essere, in caso di denuncia, considerato come un reato di diffamazione. La questione diventa ancora più critica se il docente denigra abitualmente i propri colleghi e lo fa per mettere in risalto le sue competenze professionali a confronto della insipienza degli altri.

Questi sono casi in cui il docente diffamatore tende a colpire l’onorabilità professionale dei sui colleghi, cercando di ridicolizzarli agli occhi dei suoi studenti, utilizzando impropriamente il suo ruolo di educatore. Un caso del genere, se effettivamente riscontrato, può infatti sfociare in una condanna penale per diffamazione. Il reato di diffamazione scatta quando un soggetto, comunicando con più persone, offende la reputazione di un terzo assente. Nel caso quindi in cui un docente, che si rivolge ai suoi alunni durante l’ora di lezione, sostenendo che i docenti che lo hanno proceduto non sono stati in grado di insegnare e spiegare un certo argomento, perché non preparati come lui, ci sarebbero tutti gli estremi di una querela per diffamazione.

Se poi la questione ha diversi testimoni, diretti e indiretti, perché le frasi dette dall’incauto docente hanno fatto il giro della scuola fino ad arrivare anche nel tavolo della dirigenza, e se i motivi della diffamazione sono riferibili ad una comprovata invidia professionale, la condanna penale diventa una certezza.

Infatti la Corte di Cassazione, con la sentenza n.42064/2007 ha precisato che: “In tema di tutela penale dell’onore, al fine di accertare se l’espressione utilizzata sia idonea a ledere il bene protetto della fattispecie incriminatrice di cui all’art.594 codice penale, occorre fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità dell’offeso e dell’offensore nonché al contesto nel quale detta espressione sia stata pronunciata ed alla coscienza sociale”.

Quindi attenzione alle parole, perché le parole sono come pietre, e se vengono proferite a sproposito, in situazioni sbagliate e con l’intento di colpire la professionalità di colleghi potrebbero riservare brutte sorprese.

Lucio Ficara

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