Una mamma di un bambino di quinta elementare vorrebbe negare al figlio uno smartphone. Gli si risponde di compraglielo, con meraviglia da parte del genitore, se a consigliare sia un noto filosofo e scrittore che molto sulla questione ha da dire e non sempre a favore. Un noto letterato che rasserena la mamma sottolineando semplicemente che senza lo smartphone priverebbe il bambino non tanto di un mezzo tecnico quanto della socializzazione, perché oramai la socializzazione avviene così.
Ho scritto in una recente recensione che il connubio tra analogico e digitale deve mantenere l’equilibrio delicato rafforzando il primo a sfavore del secondo in quanto pare che oggi sono gli algoritmi a decidere il destino di tanti, di tutti, come nel caso della Scuola nella sua fase di mobilità e assegnazione delle cattedre, con tutto quello che ne consegue in danno affettivo, economico, ecc… E soprattutto perché ne va dell’apprendimento e di tutto l’insieme di quel processo neurologico che si compone dell’attenzione, della ragione, della elaborazione e della memorizzazione, cioè di quel far funzionare il nostro cervello. Mi rincuora che un Paese quale la Svezia, grazie ad uno studio, ha deciso che questo nuovo anno scolastico veda il ritorno alla lettura e alla scrittura: libri, quaderni, matite e penne.
Anders si pone la domanda intorno alla tecnica e all’uso che ne facciamo noi, e soprattutto al che cosa fa la tecnica di noi. Un interrogativo essenziale se vogliamo consentire alla Scuola di restare fedele alla sua missione accompagnandosi del nuovo che avanza, determinante, con gli strumenti che offre e sempre innovativi.
Quasi sempre insegno nelle classi prime di Istituti di secondo grado, e il primo messaggio che consegno agli studenti è quello di pensare in modo differente all’Informatica, non associandola soltanto ai social e di concerto agli strumenti che consentono di “stare” in questo nostra società digitale: smartphone, tablet, netbook, attraverso i quali appunto avviene la comunicazione e la socializzazione moderna. Ma pensare la disciplina, attraverso i software oggetto di studio, come strumento necessario a rispondere alla esigenza della immediatezza e praticità di soluzione, nell’affrontare ciò che avveniva lentamente e a fatica, con la semplicità data dall’automazione, che sempre accompagnerà lo studente anche quando adulto dovrà fare statistiche, calcoli percentuali, o redigere relazioni tecniche e non soltanto, o presentare un progetto attraverso slide che si accompagnano di una oralità che spiega l’immagine proiettata sulla Lim di una sala conferenza, o ufficio adibito all’incontro tra produttore e consumatore. Forse un primo passo nell’approcciarsi alla tecnica, affinché non decida, ma sia decisa da noi nella sua funzionalità, restando cioè nel limite di “mezzo nelle nostre mani”, dunque “uno strumento “inerte””, come scrive Galimberti.
Certo non sono uno che vorrebbe la Scuola Gentiliana, assolutamente. Ma che crede, e fortemente, che la presenza, o un ritorno alla bic, al libro da leggere in classe, facendone seguire un dibattito su quanto letto, e magari fare di conto, ogni tanto, senza calcolatrice, ma con le dita delle mani, restituirebbe quell’attenzione e quell’apprendimento che consentono nel tempo una freschezza sempre rigogliosa al cervello atrofizzato perché non più in grado di pensiero e di ragione, cioè di analisi.
Prometeo affermava che la tecnica è di gran lunga più debole delle leggi della natura; proprio lui che ha innescato nella condizione umana il progresso, e quindi la tecnica e il vivere civile.
Chissà! la Svezia è forse il cominciamento di quel cammino di riconsegna del pensiero inteso quale capacità di analisi, di ragionamento, di riflessione, mettendo in moto la psiche e il senso, interrompendo così il ciclo dell’ignoranza che si genera quando l’umanità diventa gregge, come dice bene Nietzsche, e non ci si scandalizzerà più se i nostri “dottori” non sanno più scrivere, o se qualcuno afferma che il fiume Po si scrive con la O accentata, o che il tasso di sconto, non è certamente il tasso della pubblicità di poltrone.
Mario Santoro