In pratica, così come si legge nella relazione dell’Invalsi allegata agli esiti della classifica Pirls e realizzata dall’Iea, l’associazione internazionale per la valutazione del rendimento scolastico, le capacità di lettura dei bambini italiani sono retrocesse al livello del 2001, un dato negativo se rapportato al trend e alle competenze a cui ci avevano abituato le alunne.
L’Italia ha riportato dunque un punteggio medio in lettura di 541 punti, lo stesso del 2001, mentre nel 2006 di 551: in cinque anni si sono bruciati dieci punti. Le bambine ne hanno persi due rispetto al 2001 ma addirittura 12 rispetto al 2006. I maschietti, invece, sullo stesso periodo ne hanno persi otto ma sul decennio ne hanno guadagnati tre, ma nel Centro Italia sono risultati più bravi.
Il Corriere della sera pubblica una riflessione di Roberto Ricci, responsabile dell’area prove dell’Invalsi, relativamente a delle probabili cause di questa inaspettata regressione: cosa sarebbe successo allora alle bambine di quarta elementare da sempre più brave nella lettura narrativa?
“La prima causa potrebbe essere, dice l’esperto, “l’introduzione nelle prove di testi diversi da quelli tradizionali narrativi;
la seconda, il cosiddetto singhiozzo statistico, in pratica si sarebbero avuti bambine meno brave secondo una normale casistica;
la terza, le nuove generazioni sarebbero più sensibili a testi diversi da quelli letterari: Internet, tv, giochi di ruolo… Generazioni di nativi digitali che, alle prese con testi tradizionali e non, hanno però gli stessi problemi di comprensione;
la quarta ipotesi, la più allarmante, un arretramento delle categorie migliori. La nostra scuola si è concentrata sulla popolazione scolastica più debole, ed è positivo. Lo svantaggio è che questo ha forse portato a un appiattimento verso il basso trasformando in un falso successo la riduzione del divario tra i sessi”.
Tesi, dice sempre il Corriere, confermata da Mauro Palumbo, sociologo che si occupa di sistemi educativi: “Quell’appiattimento verso il basso che già affligge la scuola media. La presenza sempre più alta di studenti stranieri che non parlavano l’italiano prima di iniziare la scuola. Il 6% tra quelli che hanno preso parte all’indagine, rispetto a un 2% della Francia, a un 3% della Germania. Quindi una correlazione tra competenze dei bambini e numero di libri che hanno in casa. L’influenza maggiore che subiscono è quella dell’ambiente culturale in cui vivono. E quello nostrano non aiuta visto che i dati Aie ci dicono che i lettori italiani sono il 45,3%, i francesi il 70% e i tedeschi l’82%.
Analisi a nostro avviso che soffre di un preconcetto e di un dato non sufficientemente tenuto in considerazione, e cioè la condizione socioeconomica dei ragazzi sottoposti ai test.
Tutti i fenomeni culturali infatti, dalla creatività e al rendimento scolastico insieme alla capacità di innovazioni su tutti i campi del sapere, non possono essere avulsi dai sistemi economici e produttivi e quindi dalla formazione di ricchezza, quella che consentì al nostro Rinascimento di imporsi a livello mondiale.
In un periodo di recessione e di latente diffusione di povertà, anche il rendimento scolastico ne risente, sia per quanto riguarda il consumo di libri e sia anche per quanto riguarda la richiesta di beni intellettuali ritenuti voluttuari, così come è ampiamente dimostrato dalle scelte del Governo, per cui costringe il maestro Riccardo Muti a perorare la causa di stanziare soldi, smettendola di sottrarne, per la musica e la cultura più ingenerale.
Fra l’altro il Sud rimane sempre nella classifiche peggiori, documentato anche in questa ultima indagine, e non certamente perché i ragazzi siano meno intelligenti o gli insegnanti meno preparati, visto che al Nord, come lamenta la Lega, ne ha un vasto e variegato campionario.
Fino a quando dunque non vengono implementare politiche economiche per uccidere definitivamente la povertà e il sottosviluppo assisteremo sempre a una lenta ma inevitabile regressione e di tale drammatica consistente attualità la denuncia viene dal rapporto “Fare comunità educante: la sfida di vincere”, di Crescere al Sud, la rete di associazioni e organizzazioni attive nel Mezzogiorno promossa da Save the Children e Fondazione con il Sud, dove viene rilasciata un’immagine sconcertante del mezzogiorno d’Italia.
In queste zone meridionali infatti 417mila minori sono in povertà assoluta su 720mila complessivi, la spesa sociale e gli asili nido sono ai minimi nazionali, la dispersione scolastica supera oltre il 20%, con punte in alcune periferie urbane fin’oltre il 30%. E sicuramente c’è da preoccuparsi considerando che fra qualche anno questi bambini saranno adulti e chiederanno, come è giusto, spazio e visibilità.
Ma non basta, al Sud, tra il 2010 e il 2011, le famiglie povere con minori sono aumentate del 2%, mentre è diminuita la spesa sociale che è di appena 25 euro in Calabria, contro 282 euro in Emilia-Romagna e 262 nel Veneto: una disparità enorme.
Ampia anche la frattura sui piani del percorso educativo che prende in carico solo 5 bambini su 100, da 0 a 2 anni, negli asili nido pubblici o nei servizi integrati in Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, contro i 27 dell’Umbria e i 29 dell’Emilia-Romagna.
Scandalosa la percentuale di tempo pieno a scuola che supera di poco il 7% in Sicilia e in Campania contro la media nazionale del 29%, mentre l’abbandono scolastico precoce in queste regioni riguarda un adolescente su 5, con preoccupanti ricadute sullo sfruttamento, e non solo lavorativo visto che sono 681.942 i minori del Sud residenti in comuni sciolti per mafia.
E non c’è neanche bisogno di essere sociologi per capire che con l’avanzare degli studi, e con la percezione sempre più chiara del proprio disagio sociale perché più razionalmente confrontabile coi coetanei compagni di classe, il divario culturale, e quindi relativamente ai risultati documentabili dai sondaggi, si va sempre più allargando dalle elementari alle medie e fino alle superiori.
Il dato reale è purtroppo solo uno: fino a quando il mezzogiorno d’Italia sarà privo di ricchezza, di lavoro, di pari opportunità, di condizioni economiche e sociali adeguate, la scuola sarà il suo specchio fedele e quindi sempre un passo indietro non solo rispetto alle fughe del Paese ma anche e soprattutto nei confronti dell’intera Europa.
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