Lo smartphone è diventato ormai il nostro terzo braccio, un’estensione del nostro corpo, un oggetto da cui non ci separiamo mai. E’ diventato uno strumento di personalizzazione sociale per adulti e ragazzi, una coperta di Linus da cui non siamo capaci di separarci.
Uno strumento che ormai non serve solo ad effettuare chiamate, ma viene usato per navigare su internet, entrare sui social, pagare una bolletta, prenotare una visita o un campo di padel.
E sempre più lo usiamo in maniera non corretta, ad esempio anche mentre stiamo parlando con altre persone ci viene “naturale” spostare lo sguardo verso il nostro cellulare per vedere un messaggio o una notifica.
Questo fenomeno è noto come “Phubbing” termine che deriva dall’inglese Phone’ e ‘Snubbing’ e descrive di fatto l’atto di trascurare con intenzione i propri interlocutori, reagendo ad esempio ad una notifica o messaggio che arriva sul proprio cellulare. Seppur il termine non sia molto diffuso, lo è invece il fenomeno ben oltre, in alcuni casi, i limiti dell’educazione. Un comportamento ritenuto a ragion veduta come irritante perché segno di scarso interesse della discussione in corso e rispetto dello stesso interlocutore.
Secondo una ricerca condotta da Wiko il 70% ammette di avervi ceduto almeno una volta. Il 23% degli intervistati, addirittura, afferma di “snobbare” il prossimo frequentemente, lanciando continue occhiate distratte al telefono mentre è in compagnia di una o più persone. Un dato che non stupisce, considerando che il 68% degli utenti controlla il proprio smartphone più di 50 volte al giorno, quindi parliamo di una media di almeno 3 volte ogni ora considerando una giornata di 16 ore diciamo cosi “operative” togliendo le ore di sonno.
Come TDS lo scorso anno avevamo già anticipato il fenomeno, riportando i risultati di uno studio dell’ Università di Milano-Bicocca, che rilevava un uso pervasivo e decontestualizzato dei device digitali nei contesti di relazioni interpersonali, aspetto che secondo gli esperti avrebbe ripercussioni negative a lungo andare sul benessere piscologico dei giovani adolescenti.
Quali sono le motivazioni più comuni? Dietro questo comportamento c’è prima di tutto la noia, il display si guarda quando si sta passando un momento piatto durante una chiacchierata con altre persone. In alcuni casi si ci rifugia nello schermo perché magari l’argomento che si sta affrontando è spinoso, ma ci possono anche essere casi in cui il continuo guardare il cellulare è dovuto al fatto che si sta aspettando un messaggio importante.
Il fenomeno come detto si manifesta in ogni tipo di rapporto interpersonale, tra amici, in ambito lavorativo tra genitori e figli e potrebbe estendersi anche a scuola con la diffusione massiva degli smartphone in classe.
Quali sono le possibili buone azioni da mettere in campo in aula e negli altri contesti per cercare di ridurre il fenomeno.
Proviamo ad elencarne alcune di buon senso. Prima di tutto il cellulare va tenuto in borsa, in tasca, nello zaino e non in mano, comportamento diffuso soprattutto nei più giovani. Averlo sempre a portata di mano spinge a consultarlo più spesso.
Stabilire momenti in famiglia, in una riunione di lavoro, durante una lezione in aula dove il cellulare deve rimanere completamente spento.
Questo è un metodo utile per dedicare il tempo previsto una sessione formativa in maniera esclusiva e potrebbe essere il giusto approccio per usare i cellulari in aula integrandoli alla didattica tradizionale senza avere distrazioni da parte degli studenti.
Altro consiglio utile è quello di usare delle App chiamate detox che supportano l’utilizzatore del cellulare ad un suo più corretto dello strumento, bloccando ad esempio le notifiche, o misurando il tempo che si è stati davanti al cellulare.
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