Sentenza Cassazione precari, Anief non ci sta: ricorreremo a Strasburgo
Non si è fatta attendere la risposta dell’associazione sindacale Anief alla sentenza Corte di Cassazione, del 20 giugno scorso, che considerando legittima la reiterazione dei contratti di supplenza (poiché in base al decreto legislativo n. 165/2001 la “praticabilità del contratto a termine” viene definita “principio di diritto vivente”) è giunta alla inaspettata conclusione che nei loro confronti non è dovuta alcuna forma di risarcimento (farebbero fallire lo Stato) e di stabilizzazione perché rappresenterebbe un canale privilegiato per l’immissione in ruolo rispetto agli altri lavoratori pubblici.
L’organizzazione guidata da Marcello Pacifico, nata quasi quattro anni fa con il primo scopo di difendere i diritti degli educatori in formazione, ha accolto la sentenza n. 10127 della Cassazione con stupore, definendola figlia di un “istinto comprensibilmente conservatore, come era del resto prevedibile, vista l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione”. Nell’esaminare la sentenza – giunta peraltro all’indomani dell’immissione in ruolo della prima ricorrente precaria iscritta all’Anief, disposta da un ambito territoriale su ordine del giudice che ne ha convertito il contratto – il sindacato è andato a riprendere il passaggio in cui la Suprema Corte sottolinea come la supplenza annuale sia “il veicolo attraverso il quale l’incaricato si assicura l’assunzione a tempo indeterminato in quanto, man mano che gli vengono assegnati detti incarichi, la sua collocazione in graduatorie avanza”. Ma non solo: la Cassazione sostiene anche che “il sistema delle supplenze” rappresenta “un percorso formativo selettivo attraverso il quale il personale della scuola viene immesso in ruolo in virtù di un sistema alternativo a quello del concorso per titoli ed esami”, facoltà consentita dalla Costituzione in presenza di normativa specifica.
Questo modello “di flessibilità atipica destinata a trasformarsi in una attività lavorativa stabile”, agli occhi dei giudici, trasformerebbe i precari della scuola quasi in privilegiati rispetto agli altri lavoratori del settore pubblico o del privato, poiché in tal modo sfuggirebbero alla macchina concorsuale o alla scelta aziendale.
Secondo l’Anief, quindi, la Cassazione è arrivata a emettere una sentenza politica in base alla quale i precari dovrebbero addirittura “ringraziare il Governo per essere utilizzati anche per diversi anni, cosi da poter un giorno rivendicare, grazie all’esperienza maturata sul campo (posti disponibili e alti tassi di natalità permettendo), una immissione in ruolo per scorrimento di graduatoria”.
Secondo il sindacato autonomo si tratta di un’interpretazione del tutto “fantasiosa”, prima di tutto perché ignora la “direttiva che impone agli Stati membri e ai giudici nazionali la condanna dell’abuso dei contratti a termine”.
L’Anief, quindi, nel rassicurare i precari della scuola italiana che “la partita rimane aperta”, annuncia “che si rivolgerà direttamente ai giudici di Strasburgo per superare un giudizio sbagliato, rivoluzionario quanto scontato”: nel ricorso non contesterà “il diritto interno che chiaramente disciplina l’attribuzione delle supplenze, ma la reiterazione delle stesse su posti in organico di diritto che, per espressa volontà del legislatore, devono dare luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato per l’ordinario funzionamento dell’amministrazione anche scolastica”. Assunzioni in ruolo che, sottolinea il sindacato, avvengono peraltro sempre e comunque dopo il “superamento di un concorso per titoli ed esami” e non per vie preferenziali, come fare intendere la Cassazione.
Il sindacato autonomo si rivolge, infine, ai precari della scuola dicendo loro “che la partita non può ritenersi chiusa, non soltanto perché la Cassazione sarà chiamata presto a un riesame che chieda alle Sezioni Unite di pronunciarsi definitivamente sulla materia”, ma anche e soprattutto perchè l’esito del contenzioso dipenderà da quanto sosterrà il tribunale di Strasburgo. Su cui peserà inevitabilmente non poco la direttiva Ue 1999/70/CE, attraverso cui sono state di fatto cancellate le discriminazioni tra il servizio lavorativo prestato come precari e quello effettuato in qualità di personale di ruolo.
La pronuncia dei giudici europei diventa così “vincolante per tutti i giudici nazionali, compresi quelli di ultimo grado. La dignità di un posto di lavoro – conclude l’Anief – non può essere barattata al mercato, men che mai quello di un lavoratore della scuola”. Insomma, in attesa delle sentenze chiarificatrici, in particolare quelle sovranazionale, c’è un punto che mette tutti d’accordo: la partita sui diritti dei 300mila precari italiani rimane ancora tutta da giocare.