Sottolinea il legale: “Nel 2012 la Cassazione con la sentenza n. 10127/2012 giudicò illegittima “la reiterazione dei contratti a termine sulla base dell’asserto per cui l’esclusione dell’applicazione nei confronti degli insegnanti e del personale Ata dell’art.36, co. 5 d.lgs. 165/2001 (T.U. sul pubblico impiego), che prevede il diritto al risarcimento del danno a favore del pubblico impiegato nel caso di abusivo ricorso ai contratti a termine, trovava fondamento in virtù delle indifferibili esigenze volte a mantenere inalterato il servizio essenziale dell’istruzione pubblica nonché in ragione della temporaneità dell’esigenza di ricorrere ai contratti a termine nell’attesa dell’espletamento dei concorsi necessari all’assunzione in ruolo degli insegnanti.”
Secondo l’avv. Bonetti “queste norme contrastavano evidentemente con il principio di effettività che informa la stessa direttiva direttiva 1999/70/CE risultando in palese contraddizione con la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato la quale, per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, prescrive l’obbligo per gli Stati membri di introdurre almeno una tra le seguenti misure: a) l’indicazione nel contratto delle “ragioni obiettive” che giustificano il rinnovo dei contratti di lavoro; b) indicazione del numero dei rinnovi; c) indicazione della durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi.”
Ecco perchè era necessario avanzare una campagna diretta a trasformare in via principale tali contratti da tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato con l’immissione in ruolo, nonché il pagamento degli stipendi corrispondenti ai periodi di interruzione tra la scadenza di un contratto a tempo determinato e l’entrata in vigore di quello successivo e, in subordine, il risarcimento del danno subito.
I numerosi contratti stipulati dai docenti molte volte senza soluzione di continuità manifestavano come lo strumento della contrattazione a tempo determinato non fosse altro che il risultato di una scelta programmatica dell’Amministrazione, mirata esclusivamente al contenimento dei costi del personale ed in nessun modo altrimenti giustificate.Il protrarsi nel tempo del rapporto lavorativo è infatti già di per sé un indice di sussistenza di un fabbisogno lavorativo durevole, connesso ad esigenze strutturali e permanenti del settore.
L’avv. Bonetti parla anche di “statistiche, riportate anche negli atti processuali e ricavate tramite dati estratti dal sito del MIUR, che riportano che negli ultimi cinque anni il numero dei precari con contratto a tempo determinato si è attestato intorno ad una percentuale stabile del 15% dei docenti di ruolo, a volte oltre 100.000 persone per anno con numeri che oscillano fra le due tipologie prevalenti di contratti precari e non stabili, ovvero il contratto a tempo determinato fino al 30/06 (sull’organico di fatto) e il contratto a tempo determinato fino al 31/08 (sull’organico di diritto).”
Sull’analisi di questi presupposti la 3° sezione della Corte di Giustizia ha contraddetto l’assunto della Cassazione del 2012: la semplice previsione di una normativa che indichi come ragione obiettiva la necessità di far fronte alle “esigenze di organizzazione del sistema scolastico italiano” per garantire la continuità del servizio a fronte di eventi contingenti, variabili ed indipendenti non è di per sé sufficiente a garantirne la legittimità alla luce degli evidenziati parametri comunitari ma deve essere analizzata alla luce del principio di effettività. La temporaneità che dovrebbe connotare la soluzione del reclutamento di personale con contratti a tempo determinato va quindi verificata con i dati riscontrati anche a livello statistico, i quali hanno rilevato invece l’interruzione di procedure concorsuali per il reclutamento di personale scolastico per ben 11 anni. Da qui la necessità di verificare in via pregiudiziale la compatibilità di una siffatta interpretazione con i principi espressi nella direttiva 1999/70/CE.
Secondo la Corte, dunque, i lavoratori che si trovino assunti in qualità di docenti o di collaboratori amministrativi per effettuare supplenze annuali in scuole statali e che abbiano effettuato una prestazione lavorativa attraverso la reiterazione di contratti a termine per un arco temporale superiore ai 36 mesi (art. 5, co. 4 bis, Dlgs. 368/2001) possono ambire ad una richiesta sanzionatoria nei confronti dell’amministrazione. Richiesta che può articolarsi nella previsione di un risarcimento danno o nella conversione dei contratti a termine in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
C’è però una precisazione da fare: non vi è un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato; la stessa clausola dell’accordo quadro lascia infatti agli Stati membri la cura di determinare a quali condizioni i contratti o i rapporti di lavoro a tempo determinato vadano considerati come conclusi a tempo indeterminato.
La Corte di Giustizia europea, continua il legale, non è infatti competente a pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni del diritto interno. Un compito del genere spetta ai competenti organi giurisdizionali nazionali che dovranno esaminare di volta in volta i singoli casi di specie valutando il numero dei contratti successivi stipulati per lo svolgimento di uno stesso lavoro, le circostanze sottese al rinnovo dei contratti, i posti vacanti, la menzionata assenza di procedure concorsuali fra il 2000 ed il 2011. Anche nel giudizio proveniente dal Tribunale di Napoli si era fatto riferimento ai numeri degli insegnanti precari locali: secondo il Tribunale il 61% del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario delle scuole statali era stato impiegato con un contratto di lavoro a tempo determinato, mentre fra il 2006 e il 2011 il personale docente di tali scuole rappresentava tra il 13% ed il 18% del il personale di tutte le scuole.
E’ chiaro che, così come in passato, la questione sulla possibilità della reintegrazione e/o del risarcimento del danno dei docenti precari sarà rimessa, di volta in volta, al giudice nazionale, che valuterà il numero dei contratti sottoscritti, l’oggetto e le mansioni degli stessi, le interruzioni temporali e la tipologia di supplenze espletate, con una particolare attenzione a quelle annuali sull’organico di diritto in attesa dell’espletamento di procedure concorsuali ed dei posti vacanti e disponibili.
Conclude infine l’avv. Bonetti: “Di certo è che il fronte della battaglia per una maggiore tutela dei lavoratori precari della scuola si è nuovamente riaperto consentendo l’apertura di nuovi scenari. L’intervento promesso dal Governo con il “decreto della buona scuola” non sarà infatti sufficiente a mettere in linea le disparità perpetrate nel corso di decenni con i rilievi sollevati dalla Corte. L’annuncio della stabilizzazione di circa 150.000 precari è infatti destinato, laddove si tramutasse effettivamente in provvedimento legislativo, ai soli insegnanti inseriti nelle Gae.Pertanto allo stato attuale il Governo, che si aspettava una pronuncia del genere ma non di tale portata e per altre categorie, dovrà rispettare la proposta mediatica e politica di stabilizzare tutti i soggetti presenti nelle Gae anche privi dei requisiti indicati dalla Corte. Ai provvedimenti di stabilizzazione della c.d. “buona scuola” si aggiungeranno i provvedimenti di condanna alla stabilizzazione e al risarcimento dei danni per tutti i precari individuati secondo i criteri richiamati.”
Mala tempora currunt per il governo. I precari della scuola avanzano e rivendicano i loro diritti. Assunzione o risarcimento, qualcuno dovrà pagare. Forse, pensando al costo dei risarcimenti, sarebbe meglio assumere stabilmente…
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