Categorie: Precari

Sentenza della Corte europea: le conseguenze sui precari

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha avuto notevole impatto mediatico perché pare preludere alla regolarizzazione di numerosi rapporti di lavoro per altrettanti insegnanti ora (e da anni) “precari”.

La sentenza in realtà riguarda uno specifico punto, piuttosto tecnico, ovvero l’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro e la Corte ha interpretato la questione alla luce dei principi fondamentali del diritto dell’Unione Europea.

Innanzitutto va chiarito che la norma europea richiamata dalla sentenza (direttiva n. 70/1999), ha lo scopo di attuare un accordo quadro generale concluso tra sindacati e istituzioni.

Questo accordo vuole “migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione; creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato“.

Questo accordo si applica, però “ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro” e in Italia non veniva tuttavia applicato ai supplenti ai quali, invece, è stato per anni reiterato il contratto a termine.

La direttiva e l’accordo fanno riferimento a “ragioni obiettive” per giustificare il rinnovo dei contratti di supplenza e stabilisce che vengano definite tanto la durata massima dei contratti quanto il numero dei rinnovi».

La legge italiana (D. Lgs. 165/2001) stabilisce che questi limiti siano pari a 36 mesi complessivi ma esclude dall’applicazione di questo limite proprio i docenti supplenti e il personale ATA.

Il Tribunale di Napoli, investito della faccenda, ha sollevato la questione avanti la Corte di Giustizia.

In particolare, i giudici hanno voluto portare all’attenzione della Corte di Giustizia la normativa italiana ritenuta in contrasto con la clausola n. 5 dell’accordo quadro, articolo nel quale sono contenute le misure di prevenzione richieste dalla normativa comunitaria per evitare abusi nella successione di contratti a tempo determinato.

La decisione della Corte di Giustizia ha ritenuto che la mancata estensione delle tutele al personale docente sia illegittima e, al contempo, consente alla sentenza di essere invocata, per vedersi riconosciuto un contratto di lavoro a tempo indeterminato, dopo le descritte reiterazioni, anche da parte di dipendenti pubblici estranei al settore scolastico.

Un’altra sentenza pronunciata dalla Corte (la sent. Fiamingo), si occupa della clausola 5 dell’accordo e fissa per gli Stati membri un obiettivo generale che consiste nella prevenzione degli abusi dei contratti a tempo determinato, pur lasciando agli Stati stessi la scelta dei mezzi per ottenere questo scopo, purché non rimettano in discussione l’obiettivo o l’effetto utile dell’accordo.

La Corte si esprime chiaramente quando afferma: “Quando si è verificato un ricorso abusivo ad una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione“.

La clausola n. 5 dell’accordo, afferma la Corte, deve essere interpretata nel senso che è illegittima la normativa nazionale che autorizzi il rinnovo di contratti a tempo determinato per la copertura di posti vacanti disponibili di docenti e personale amministrativo, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, senza peraltro indicare tempi certi per i concorsi.

La legge italiana, rileva ancora la Corte, esclude persino la possibilità per i docenti che si trovino in questa situazione di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa dei reiterati rinnovi del rapporto a tempo determinato.

La normativa italiana non prevede nessuna altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

Se questo non bastasse, secondo la Corte mancano anche i criteri oggettivi e trasparenti che giustifichino la mancata assunzione del personale precario con oltre 36 mesi di servizio.

In base a questa sentenza, quindi, chi ha un’anzianità di servizio pari a 3 anni non potrà più essere assunto a tempo determinato, tutt’altro: non solo sarà possibile la stabilizzazione ma anche il riconoscimento degli scatti di anzianità maturati nel frattempo, senza dimenticare il risarcimento dei danni subiti per la violazione dell’accordo generale.

Armi in pugno, dunque, per i precari della scuola e della pubblica Amministrazione: la domanda per l’assunzione e il risarcimento può essere presentata al Tribunale del lavoro con un semplice ricorso.

Redazione

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