La sentenza del Tar Lazio sulla valutazione degli alunni che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica sta scatenando, come peraltro era facilmente prevedibile, non poche polemiche.
A protestare contro il giudice amministrativo è innanzitutto la Conferenza episcopale che, per bocca del presidente della Commissione per l’educazione cattolica monsignore Diego Colletti, parla di una decisione ispirata al “più bieco illuminismo che vuole la cancellazione di tutte le identità”.
Colletti precisa però che la CEI non presenterà nessun ricorso contro la sentenza: “Non credo – ha detto monsignore Colletti parlando dai microfoni della Radio Vaticana – che tocchi alla Chiesa come tale fare ricorso. Tocca ai cittadini italiani organizzati in partiti o in associazioni culturali esprimere il loro parere, il loro dissenso di fronte a una sentenza così povera di motivazioni e credo che lo stesso ministero dovrà fare un ricorso perché ciò che è stato messo sotto accusa non è l’opinione della chiesa ma una circolare del Ministero, un qualche cosa che attiene all’organizzazione della scuola di Stato e credo quindi che siano questi gli organismi che debbano muoversi”.
Le critiche alla decisione del Tar Lazio arrivano però anche da altre parti.
Lo stesso ex ministro Giuseppe Fioroni, responsabile PD per la scuola, invita il ministro Gelmini a interporre appello, mentre il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, parla addirittura di “deriva anticattolica che non ha precedenti nella storia e nella tradizione del nostro paese”.
Nella polemica entra anche il segretario generale di Cisl-Scuola, Francesco Scrima,
che afferma: “Tutto quello che avviene a scuola è “scuola”; tutto quello che si insegna a scuola rientra in un progetto che ha come obiettivo la formazione integrale della persona e dunque rientra anche nell’obbligo valutativo che la scuola ha”.
“Tutto – aggiunge Scrima – concorre alla valutazione, dal comportamento al profitto in ogni disciplina”.
“Che dunque l’insegnamento della religione cattolica rientri a pieno titolo in questo processo ci sembra incontestabile – conclude il segretario della Cisl-Scuola – e non è discriminante perchè, pur essendo un insegnamento opzionale, fa parte dell’offerta formativa che l’istituzione scolastica propone e che prevede delle alternative, anch’esse valutate, se scelte. Discriminante sarebbe il contrario: non considerarlo parte del percorso formativo che il ragazzo sviluppa e che la scuola, alla fine, deve pur considerare”.
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