Sta facendo il giro del web la vicenda della donna che insegnava da vent’anni grazie due lauree che non aveva mai conseguito: la 49enne di Camparada, un paese in provincia di Monza, è stata denunciata dai carabinieri per truffa aggravata, falsità materiale commessa da privato ed esercizio abusivo della professione. Da quasi 20 anni era insegnante di sostegno in istituti superiori della Brianza e parallelamente svolgeva l’attività di psicologa, come libera professionista.
A far partire le indagini nei suoi confronti, condotte dai carabinieri di Vimercate (Monza), era stata, involontariamente, la stessa insegnante di sostegno: qualche anno fa, infatti, sarebbe nato un contenzioso a scuola tra la falsa professoressa e il dirigente scolastico; il tutto, a seguito di problemi sorti con l’amministrazione scolastica per via dell’organizzazione di una gita, la donna aveva dichiarato ai carabinieri di essere vittima di mobbing, facendo partire tutti i controlli di rito, che sono quindi stati avviati anche verso di lei.
Secondo quanto ricostruito dalle indagini delle forze dell’ordine, scrive l’agenzia Ansa, la donna per diventare insegnante di sostegno, nel 1999 al Meroni di Lissone (Monza), poi qualche anno fa all’Istituto Floriani di Vimercate, avrebbe presentato due certificati di laurea, uno in psicologia e l’altro in pedagogia, risultati ora falsi.
La stessa donna, sempre dal 1999, avrebbe anche avviato l’autonoma professione di psicologa, pur senza essere in possesso dei requisiti.
Ma come è possibile insegnare per così tanto tempo senza che nessuno si sia mai accorto della falsa attestazione dei titoli di studio? A chiederselo sono tantissimi nostri lettori, meravigliati del fatto che si sia scoperto il falso conseguimento delle lauree per pura casualità.
Ma c’è poco di cui meravigliarsi, semplicemente perché per essere scoperti di avere presentato un titolo o un’attestazione falsa, in Italia bisogna essere particolarmente sfortunati. Già, perché i controlli si effettuano a campione.
A decidere per questa prassi è stato l’estensore dell’art. 71 del DPR 445/2000, il Testo unico sulla documentazione amministrativa, cui hanno fatto seguito altre norme in linea (come l’art. 15 della legge 183/2011): il testo, che tratta specificatamente le “Modalità dei controlli”, prevede che “le amministrazioni procedenti sono tenute ad effettuare idonei controlli, anche a campione, e in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi, sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive …”. Questo significa che se non sorge il dubbio (perché dovrebbe sorgere?) nessuno andrà mai a verificare la consistenza di quanto dichiarato.
Inoltre, si legge ancora nell’articolo 71, “i controlli riguardanti dichiarazioni sostitutive di certificazione sono effettuati dalla amministrazione procedente, consultando direttamente gli archivi dell’amministrazione certificante ovvero richiedendo alla medesima, anche attraverso strumenti informatici o telematici, conferma scritta della corrispondenza di quanto dichiarato con le risultanze dei registri da questa custoditi”.
Quindi, se si produce un certificato di servizio svolto altrove, il problema di verificarne la bontà è esclusivamente quell’amministrazione dove è stato realizzato. Il tutto, in virtù di una supposta maggiore trasparenza e semplificazione dei procedimenti amministrativi.
Se a questo si aggiunge che le quando si concorre per fare supplenze, come per fare un concorso o sostituzioni in un qualsiasi comparto pubblico, non c’è alcuna necessità di presentare i certificati o i titoli di studio originali, ma possono essere tranquillamente inoltrate delle dichiarazioni sostitutive, si comprende meglio dove sta il problema: la responsabilità viene, di fatto, riversata sul cittadino e sulle sue dichiarazioni. Le quali, quando si scopre che sono false, possono portare seri problemi con la giustizia per chi ne è stato l’artefice.
E quando si riversano in un ufficio scolastico migliaia di domande, con una mole impressionante di autocertificazioni annesse, è chiaro che nessun impiegato o dirigente andrà mai a “sbirciare” quelle carte. Ancora di più se in quegli uffici, come avviene da tempo negli Usr e negli Ust, il personale che va in pensione non viene sostituito. L’amministrazione, del resto, subentra solo se vi sono “fondati dubbi” sulla loro veridicità: lo dice la legge!
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