In educazione si parla spesso di autorità e libertà, ordine e disciplina che, in pratica, rappresentano la sintesi di tutto il processo educativo, stanno alla base del nostro essere e non si possono realizzare senza aver assimilato educativamente e consapevolmente l’adesione al vero e al bene.
Per questo, l’ordine e la disciplina, proposte e non imposte, scaturiscono dall’impegno, dall’intelligenza e dalla volontà, indicano un aspetto profondo e significativo nei processi di crescita della vita di una persona e svolgono una funzione di guida.
Il Ministro dell’Istruzione Bussetti, giustamente, attraverso specifici interventi, vorrebbe restituire autorevolezza ai docenti quale presupposto fondamentale per ottenere condizioni di lavoro favorevoli a vantaggio di un contesto educativo che rischia di impoverirsi e di perdere quello spazio di dialogo e confronto che dovrebbe ruotare attorno al mondo studentesco.
Va ricordato che in educazione l’autorità, da augère, crescere, rappresenta un fondamentale e strategico strumento formativo che genera personalità e mentalità nuove e incrementa lo sviluppo, la profondità e la forza dell’incontro e della comunione.
Naturalmente, c’è una particolare età in cui l’uomo ha la freschezza necessaria per assimilare l’autorità come un’esperienza viva e ricca: è l’età dell’adolescenza, momento della vita in cui, nonostante manchi la consapevolezza matura che rende capaci di vera apertura e vero dialogo, l’autorità può incidere positivamente ed edificare la coscienza.
I luoghi sono la famiglia e la scuola. E sono proprio questi gli ambienti più importanti per la vita del ragazzo e per una adeguata impostazione della coscienza nella vita dell’uomo.
Purtroppo, oggi, scuola e famiglia appaiono neutrali, assomigliano ad una parentesi quasi estranea e la loro voce non riesce a raggiungere i giovani, a penetrare nella loro mente e nel loro cuore. Il carisma di docenti e genitori non è più un richiamo, un’attrattiva, un aiuto forte ed efficace per una educazione piacevole, consapevole e felice.
Il rapporto di autorità, prevalentemente disposto e orientato più su un asse orizzontale che verticale, sta ostacolando e mortificando lo sforzo reciproco di prendere la decisione cosciente di vivere responsabilmente il proprio ruolo.
Impetuosa o dolce che sia, l’autorità rappresenta, infatti, quel dinamismo esistenziale che, ridestando continuamente l’intelligente sapienza della “buona strada”, educa ad un vincolo di totale unità tra persone partecipi dell’insondabile ricchezza della condivisione e del dialogo.
La vita del giovane è essenzialmente dipendenza e cammino verso l’autonomia, ogni altro atteggiamento sarebbe stolta presunzione o vano orgoglio.
È seguendo con gli occhi spalancati e con attenzione viva che si genera la forza della comunione e si crea un totale vincolo di unità. Ovviamente, seguire non è essere trasportati da una corrente, ma è una decisione personale, è un gesto continuo della mia libertà che accetta senza condizioni una ferma e autorevole presenza educativa.
L’esercizio dell’autorità e la fermezza devono essere instancabili quanto pazienti nello sviluppare e far crescere socialmente una comunità ed hanno un significato così profondo, da far diventare la persona un complesso totalmente nuovo per vastità e consapevolezza di rapporti con l’altro.
Una concezione ristretta che fa dell’autorità un ordine da ottenere o qualcosa da imporre, sminuisce la preventiva forza educatrice dell’educatore.
L’autorità convincente è la via regia, il primo fattore dell’ordine e della disciplina, il carisma che edifica e sostiene non una nostalgica disciplina educativa, ma forme d’azione interessanti, motivate, piacevoli, aderenti alle differenti capacità, alle diverse esigenze di conoscenza, di affettività, di movimento.
Per mantenere l’ efficacia educativa, per non inasprire, fare dei ribelli o dei docili conformisti, l’autorità non deve mai essere disgiunta dall’amore.
Proprio come nel libro “Cuore”, quando, il maestro irritato richiama Coretti, il figlio del carbonaio, che si era addormentato sul banco. A vedersi davanti il maestro, Coretti si fa indietro impaurito. Ma il maestro gli prese il capo fra le mani e gli disse baciandolo fra i capelli: Non ti rimprovero, figliol mio.
Per ritrovare la serenità e il coraggio di educare, bisogna inaugurare a casa e a scuola un nuovo ordine, non soltanto disciplinare, che poco ha a che vedere con la sorveglianza di manichini rivestiti d’autorità e armati di regolamenti, ma, soprattutto, professionale e morale per parlare all’intelligenza, alla volontà, alla coscienza e al cuore di ciascuno.
Fernando Mazzeo
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