In particolar modo le divisioni giovano alle donne: dal momento che le prime 16 sono femminili, solo 5 sono maschili. Anche nelle pubbliche 15 dei primi 25 istituti sono monogenere, 9 femminili e 6 maschili; un risultato eccellente, soprattutto se si pensa che sono soltanto il 2% del sistema statale.
Lo stesso accade negli Stati Uniti, dove fra l’altro nel 2011 alcuni ricercatori del Consiglio Americano per la scuola mista hanno pubblicato uno studio dal titolo eloquente: “La pseudoscienza della scuole single sex”, sulla prestigiosa rivista Science, con cui si sostiene che non c’è alcun vero dato scientifico a sostegno di queste tesi e che il successo delle scuole monogenere è dovuto semplicemente ai loro standard altamente selettivi.
Inoltre, si fa presente con ragione, che dividere i ragazzi dalle ragazze equivale ad affermare una differenza tra uomini e donne. E’ solo un passo indietro. E poi, una volta affermata la diversità tra uomini e donne, come si potrebbe impedire che qualcuno riaffermi la differenza tra bianchi e neri o tra ebrei e cattolici, per esempio?
In Germania intanto le scuole monogenere sono circa 200, in Francia quasi 250. L’Australia, invece, ne conta ben 1479 con risultati nell’apprendimento tra il 15 e il 22% migliore di quelle miste; in Giappone, poi, ci sono più di 400 istituti omogenei.
Il Corriere della Sera ha chiesto delucidazioni a Carlo Finulli, maestro di una scuola elementare maschile di Milano gestita dal Faes, un’associazione di genitori e insegnanti che si rifà ai principi educativi del fondatore dell’Opus Dei, Josemaría Escrivá.
“Le bambine sin da piccole sono più ordinate e possono seguire lezioni più lunghe. I maschi hanno bisogno di più pause e di molta competitività. I dati dimostrano che nelle classi miste le femmine non danno il massimo perché si adeguano al ritmo dei maschi”. E’ importante che anche gli insegnanti siano omogenei: “In questi anni ho constatato che per i ragazzi avere un maestro dello stesso sesso aiuta a stabilire la relazione con l’autorità. Si cresce con i modelli” dice Finulli.
Il Faes gestisce 14 istituti in sette città, da Milano a Palermo e circa 3 mila studenti. I programmi sono uguali, maschi e femmine seguono le stesse attività. Si gioca a scacchi, si fa teatro e non ci sono bidelli. Sono gli stessi studenti ad alternarsi in compiti di segreteria che li responsabilizzano.
In Italia la divisione tra maschi e femmine nelle scuole statali è stata abbandonata negli anni ’60 in nome delle pari opportunità e per aumentare l’interazione tra i due sessi. Una scelta che allora aveva solidissime ragioni socio-culturali ma c’è chi si domanda se quarantacinque anni dopo sia ancora così? Negli Usa la divisione per generi è sponsorizzata anche da femministe come la ricercatrice Carol Gilligan, che la giudica “lo strumento migliore per crescere ragazze creative e capaci di assumersi rischi”.
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