Università e Afam

Sergio Mattarella Laurea Magistrale Honoris Causa in Giurisprudenza: “le università sono luogo di dibattito, critica e dissenso del potere”

Nella mattinata di oggi, venerdì 12 aprile, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è stato insignito della Laurea Magistrale Honoris Causa in Giurisprudenza dall’Università degli Studi di Trieste insieme al Presidente emerito della Repubblica di Slovenia Borut Pahor.

“Sergio Mattarella e Borut Pahor – si legge nella motivazione del conferimento della laurea honoris causa – hanno saputo coraggiosamente ripudiare la prospettiva angusta dell’egoismo nazionalistico, per perseguire invece una politica di riconciliazione, retta sulla creazione e sul consolidamento di spazi e di simboli dedicati alla memoria collettiva, quale fondamento di autentica pace tra i popoli. Due statisti che hanno interpretato l’amor di patria in una dimensione europea alta, così contribuendo a trasformare la frontiera adriatica, da territorio di aspro conflitto etnico e culturale, ad area di dialogo, di cooperazione e di amicizia, nella comune coscienza dei diritti umani e nella luce delle libertà democratiche”.

Mattarella e il ruolo delle università

“Le Università”, ha affermato Mattarella intervenendo nell’aula magna dell’ateneo giuliano, “sono sempre state luogo del libero dibattito, della critica e anche del dissenso nei confronti del potere. Dibattito, critica e dissenso collegati tra gli atenei di tutti i paesi, al di sopra dei confini e al di sopra dei contrasti tra gli stati. Se si recide questo collegamento, questo prezioso scambio di riflessioni, di collaborazioni, di esperienze, non si aiutano i diritti, non si aiuta la libertà né la pace, ma si indebolisce la forza del dibattito, della critica e del dissenso. Si aiuta il potere, quello peggiore, che ha sempre cercato di tenere isolate le università del proprio paese, di impedirne il collegamento con quelle oltre confine”. 

La lectio magistralis del presidente Mattarella

Magnifico Rettore,

illustri docenti, care studentesse e cari studenti di questa Università,

a tutti voi auguri per il secondo secolo di vita di questo Ateneo.

Caro Presidente e amico, Borut Pahor,

Signor Ministro,

è motivo di grande prestigio ricevere, Honoris Causa, la laurea di Dottore in Giurisprudenza da parte di questo Ateneo. E ringrazio il Magnifico Rettore, il Corpo accademico, i Professori Dolso, Rossi, Spitaleri, la Professoressa Pertot.

Desidero esprimervi la mia riconoscenza, anche per l’opportunità di poter condividere questo riconoscimento con il Presidente Pahor, l’amico Borut.

A lui mi hanno unito anni di intensa collaborazione, ispirati ai valori e ai principi che si trovano alla base degli ordinamenti giuridici dei nostri Paesi e dell’Unione Europea.

Questa cerimonia mi offre anzitutto l’occasione per ringraziarlo, ancora una volta, per la sua amicizia, e per la visione politica da lui manifestata: ha impresso un segno profondo nella storia del suo Paese, della Regione balcanica, dell’intera Europa.

Un’opinione, questa, diffusa, ampiamente condivisa.

Lo testimoniano i numerosi riconoscimenti che ha raccolto in questi anni e le iniziative politiche internazionali che ha lanciato e che proseguono, anche dopo il termine del suo mandato, come il Processo di Brdo-Brioni.

In questi anni, Slovenia e Italia, hanno sviluppato un dialogo costante e fruttuoso, alimentato dalla consapevolezza che la comune adesione e appartenenza alla casa europea e ai valori euro-atlantici rappresentino quell’elemento identitario che rafforza nei nostri Paesi lo sguardo verso il futuro.

 La riconciliazione con la storia non ci libera dal dovere di conoscerla e di ricordare, come Borut Pahor ha più volte sottolineato. Non conduce a letture di comodo del passato né relativizza le responsabilità, ma ci consente di coltivare sentimenti di rispetto per le sofferenze di ciascuno, in luogo di nutrire rancore e contrapposizione.

Si iscrive in questo processo il Giorno del Ricordo, istituito dal Parlamento italiano nel 2004 e che richiama, in particolare, le sofferenze delle popolazioni istriane-giuliane-dalmate.

Ricordare gli avvenimenti, che hanno così profondamente inciso con dolore sulla vita delle popolazioni al confine orientale, significa anche rispettare i patimenti altrui.

Le ferite causate dalle tragedie del Novecento non si possono cancellare.

Le guerre combattute senza alcun rispetto per le popolazioni civili, le violenze e gli esodi, hanno colpito e sconvolto l’Europa, in balia di una lotta combattuta da nazionalismi esasperati.

La Seconda Guerra Mondiale – che quei nazionalismi hanno scatenato – ha distrutto la vita di milioni di persone nel nostro continente, ha disperso famiglie, ha forzato a migrazioni.

Le storie nazionali si sono immerse in una storia globale.

Le vicende dell’intero continente e del mondo hanno incontrato grandi sofferenze. Occorre non dimenticarlo.

Volgendo lo sguardo al cammino compiuto in Europa, appare fuori da ogni dubbio che la Repubblica di Slovenia e la Repubblica Italiana debbano essere orgogliose delle mete raggiunte in questi anni.

Incontrarsi non è stato scontato e non sono mancate incomprensioni lungo il percorso; difficoltà che, tuttavia, non hanno impedito ai nostri Paesi di progredire costantemente, dando vita a un partenariato profondo e articolato che ci vede lavorare fianco a fianco sui temi prioritari dell’agenda europea e internazionale.

Non è stato agevole. Tanto più assume valore quanto realizzato dai nostri Paesi.

Questi territori, segnati prima dall’aggressione del Terzo Reich e del Regno d’Italia al Regno di Jugoslavia nell’aprile del 1941, poi sottratti alle sovranità nazionali precedenti e riuniti dal regime nazista in un’unica “Adriatisches Kunstenland” nel 1943, hanno drammaticamente sofferto, alla conclusione della guerra, anche le sue conseguenze, tra queste quelle inferte dal regime comunista, e hanno faticato, nel dopoguerra, a trovare un equilibrio.

E’ stato, il nostro, un viaggio in comune, nutrito da apporti importanti.

La storica visita a Lubiana del Presidente della Repubblica, Cossiga – primo Capo di Stato straniero a recarsi in Slovenia indipendente – il 17 gennaio 1992 e l’adozione della “Dichiarazione Congiunta sull’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica di Slovenia e la Repubblica Italiana” hanno dischiuso le porte al dialogo, sottolineando fin dall’inizio la comune volontà di lavorare assieme per una nuova Europa, fondata su democrazia, pace e unità.

Tra pochi giorni verranno celebrati i vent’anni dell’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, per il quale non fu indifferente il confronto sviluppatosi tra Lubiana e Roma.

La volontà dell’Europa di liberarsi del retaggio del passato – che l’aveva vista teatro di guerre di potenza – aveva trovato momenti significativi nei due passaggi storici dell’Atto Finale di Helsinki nel 1975 e della Carta di Parigi nel 1990, redatta nell’ambito del processo della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, e che prendeva atto della fine della “guerra fredda”.

Leggiamo dall’incipit di questo documento, sottoscritto dai 35 Paesi partecipanti:

“L’era della contrapposizione e della divisione dell’Europa è terminata. Dichiariamo che per l’avvenire le nostre relazioni saranno basate sul rispetto e sulla cooperazione… È questo il momento di realizzare le speranze e le aspettative nutrite dai nostri popoli per decenni: l’impegno costante per una democrazia basata sui diritti dell’uomo e sulle libertà fondamentali, la prosperità attraverso la libertà economica e la giustizia sociale nonché un’uguale sicurezza per tutti i nostri Paesi”.

A confronto con quanto accade da oltre due anni, è amaramente lecito chiedersi come sia stato possibile dimenticarlo.

Slovenia e Italia hanno sempre avuto come riferimento quell’orientamento, sancito anche nel Memorandum di cooperazione firmato il 14 maggio 2007 con l’obiettivo di promuovere l’Alto Adriatico quale polo di crescita, sviluppo e integrazione, sottoscritto, con grande significato, a Bruxelles.

In questa sede, per il valore del loro apporto, desidero citare le iniziative di cooperazione dell’Università di Trieste con le omologhe università slovene: la crescita di ricerca e formazione in comune è un’altra chiave di successo.

Questo vale per tutti i meridiani, ovunque, in qualunque direzione nel mondo.

Le Università sono sempre state, oltre che sede di approfondimento e trasmissione del sapere, luogo del libero dibattito, della critica e anche del dissenso nei confronti del potere. Dibattito, critica e dissenso collegati tra gli atenei di tutti i paesi, al di sopra dei confini e al di sopra dei contrasti tra gli Stati.

Se si recide questo collegamento, questo prezioso scambio di riflessioni, di collaborazioni, di esperienze, non si aiutano i diritti, non si aiuta la libertà né la pace, ma si indebolisce la forza del dibattito, della critica, del dissenso.

Si aiuta il potere, quello peggiore, che ha sempre cercato di tenere isolate le università del proprio Paese, di impedirne il collegamento con quelle oltre confine.

Tra le tappe che hanno scandito la crescita dei rapporti in questa regione vorrei richiamare quella che vide protagonista Trieste, con il Concerto dell’Amicizia, tenutosi il 13 luglio 2010 alla presenza dei Capi di Stato di Slovenia, Croazia e Italia.

La Dichiarazione congiunta del Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, del Presidente della Repubblica di Slovenia, Danilo Türk, del Presidente della Repubblica di Croazia, Ivo Josipović, espresse “la ferma volontà di far prevalere quel che oggi ci unisce su quel che ci ha dolorosamente diviso in un tormentato periodo storico, segnato da guerre tra Stati ed etnie”.

Dieci anni dopo, con la visita congiunta alla foiba di Basovizza e al monumento ai fucilati del Tigr, con il Presidente Pahor abbiamo voluto testimoniare che ciò che ci unisce oggi è più forte di ciò che ci ha separato in passato e che, insieme, sappiamo commemorare le vittime di quegli anni sanguinosi.

Ci sono luoghi che nella storia assurgono a emblemi. La restituzione del palazzo del “Narodni Dom” alle associazioni della minoranza slovena in Friuli Venezia Giulia sancita in occasione del centesimo anniversario del suo incendio – e ringrazio questa Università per il contributo rilevante arrecatovi – rappresenta la presa d’atto di una maturazione – in una giornata storica, come la definì il Presidente Pahor – che afferma altresì il reciproco impegno per la tutela e la promozione delle minoranze, in ossequio – per quanto ci riguarda – alla nostra Costituzione e alla Carta Europea dei diritti fondamentali.

Del resto, si consideri che la somma delle “minoranze” all’interno dei Paesi dell’Unione europea supera l’ampio numero di 50 milioni di concittadini europei.

Lungo il percorso compiuto in questi trent’anni, Slovenia e Italia hanno saputo abbattere barriere e ostacoli, riuscendo a superare la nozione stessa di confine. Al suo posto c’è l’Europa, spazio comune di integrazione, di dialogo, di promozione dei diritti, di una cultura condivisa che si nutre delle diversità e ne fa punto di forza.

Con la designazione congiunta di Nova Gorica e Gorizia quale “Capitale europea della cultura nel 2025”, è stata scritta una nuova importante pagina della nostra storia. Con il Presidente Pahor abbiamo celebrato questo traguardo, visitandole assieme nell’ottobre del 2021. Quella piazza, che fu posto di frontiera, raffigura il confine, anche grazie allo spazio Schengen, quale luogo di incontro e di unione.

Mi auguro che questa esperienza possa essere di ispirazione per altri territori transfrontalieri nel continente europeo, dove il concetto di confine è tuttora vissuto in modo conflittuale, come elemento di discriminazione.

L’integrazione slovena nelle istituzioni europee è stato un evento di successo straordinario. Nell’arco di una generazione Lubiana ha compiuto un percorso che oggi la fa sedere con autorevolezza nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Il suo esempio costituisce riferimento per i Paesi oggi candidati all’ingresso nella UE. Le dinamiche geo-politiche in Europa hanno conferito slancio rinnovato al processo di completamento dell’Unione.

Il progetto europeo è più che mai imprescindibile e urgente, alla luce anche della brutale e ingiustificabile aggressione della Federazione Russa ai danni dell’Ucraina.

Ciò vale non soltanto nei confronti di Ucraina, Moldova e Georgia, ma soprattutto dei Paesi dei Balcani Occidentali che oltre venti anni addietro hanno iniziato questo impegnativo percorso di integrazione.

Il mondo ha bisogno di pace, stabilità, progresso, e l’Unione Europea è chiamata a dare risposte concrete alle aspirazioni di quei popoli che guardano al più imponente progetto di cooperazione concepito sulle macerie del secondo conflitto mondiale.

La strada percorsa da Slovenia e Italia, in questi trent’anni, dimostra come il processo di riconciliazione, il ritrovarsi su un percorso comune, possa trovare una ricomposizione più efficace all’interno della famiglia europea, attraverso il consolidamento della fiducia reciproca generata dalla comune esperienza che si sviluppa all’interno delle istituzioni europee.

E’ in seno ad esse, nel lavoro fianco a fianco, che i nostri popoli accrescono il senso di comunanza di obiettivi, di appartenenza.

In quella quotidiana condivisione emergono i tanti fattori che ci uniscono, sbiadiscono le differenze e le incomprensioni.

L’Europa insomma è, allo stesso tempo, sia il frutto dei processi di riconciliazione tra Paesi che durante la Seconda Guerra Mondiale avevano combattuto in schieramenti contrapposti, sia l’acceleratore di indispensabili composizioni delle divergenze, retaggio del passato, e che abbiamo dimostrato di saper superare per costruire un effettivo e duraturo futuro di pace.

So che il Presidente Pahor ha deciso di continuare il suo impegno personale per i Balcani Occidentali e a favore del processo per una indispensabile e veloce integrazione europea dell’intera regione.

Anche per questo lo ringrazio.

L’Europa ha bisogno della sua esperienza e della sua saggezza.

Redazione

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