Sul Corriere della Sera c’è spazio per un’annosa questione didattica: la perdita di rilevanza dell’insegnamento della geografia a scuola, con conseguente diminuzione anche delle competenze di chi dovrebbe insegnarla. Gli strafalcioni in tv sono una spia: da materia importante, è diventata la cenerentola della scuola. Rendendo più difficile la comprensione del mondo.
Ecco uno stralcio dell’articolo: “Lungi dall’essere un inventario polveroso di monti, confini e capitali, la geografia serve a leggere i paesaggi: “Vedere i negozi che chiudono e i centri commerciali, le fabbriche abbandonate, i poveri nelle metropolitane quando fa freddo: questa è geografia”, dice Brusa. Materia principe per comprendere ragioni e movimenti delle masse che migrano. O per disegnare le trasformazioni del territorio, definire i piani paesaggistici, aiutare nella comprensione e nella prevenzione dei dissesti idrogeologici. Per capire e intervenire non bastano Google Maps e gps. Possono servire, non far conoscere. “Non danno i fondamenti disciplinari”, dice Brusa. Quelli, però, non li dà più neanche la scuola, dove alla riduzione delle ore si è sommata la trasformazione della materia, la sua «espropriazione» da parte di altre discipline”.
Alla scuola primaria sono previste due ore settimanali di geografia. Alla secondaria di
primo grado, 9 ore per italiano, storia e geografia. La distribuzione è decisa dalle
istituzioni scolastiche nell’ambito dell’autonomia. Di solito vengono così ripartire: 6 di
italiano, 2 di storia, 1 di geografia Nei licei classici, scientifici, linguistici e artistici c’è la
“geostoria”: tre ore a settimana nel biennio. Spesso la storia fagocita la geografia. Negli istituti tecnici si va dalle 3 ore del settore economico (solo nel biennio) all’unica ora
del tecnologico (solo al primo anno). Nei professionali un’ora.
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