Servizio di refezione e pasto da casa: sarà davvero no al “panino”?

È notizia recente che un emendamento all’art. 5 del DDL 2037, in discussione in IX^ Commissione Senato, avrebbe risolto la questione del “panino da casa” (come riduttivamente si definisce la scelta per il pasto domestico).

Il Disegno di Legge 2037Disposizioni in materia di servizi di ristorazione collettiva”, come può evincersi dalle informazioni relative al suo iter, è stato presentato il 4 agosto 2015 ed assegnato alla 9ª Commissione permanente (Agricoltura e produzione agroalimentare) in sede referente (con il compito quindi di preparare i documenti che saranno poi trasmessi in assemblea per il voto) il 3 febbraio 2016.

Il DDL disciplina i servizi di ristorazione collettiva e cioè: “l’attività di approvvigionamento, preparazione, conservazione, distribuzione e somministrazione di pasti, definita da un contratto stipulato tra il fornitore del servizio e un soggetto privato o una pubblica amministrazione in qualità di committenti” (art. 2)

In particolare l’articolo 5 definisce le caratteristiche della Ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, considerata servizio pubblico essenziale, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge n. 146/1990. Prevede inoltre che le procedure di selezione avvengano sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (articolo 83 codice degli appalti) con esclusione dell’applicazione di quello del prezzo più basso (articolo 82), assumendo maggiore rilievo parametri di qualità.

Il testo normativo presentato non interviene quindi in merito ai rapporti con le famiglie ed in particolare all’esercizio del diritto di scelta alimentare con il pasto domestico.

Peraltro la nota sentenza della Corte d’Appello di Torino è stata pubblicata il 21 giugno 2016, proprio allorquando cominciava la trattazione in sede referente in 9a Commissione Senato.

Ma era inevitabile che la discussione portasse sull’argomento.

Così, si legge nei documenti che nella Seduta del 10 maggio 2017 la 10ª Commissione Industria, Commercio, Turismo ha sollecitato “altresì a valutare l’opportunità di intraprendere iniziative volte a ridefinire il cosiddetto «pasto da casa», ossia i cibi portati da casa a scuola in sostituzione della refezione organizzata”.

Alcune memorie presentate in sede di audizione, pur non contestando il diritto di un genitore di iscrivere i figli alla refezione in quanto servizio domanda individuale (ANGEM , Legacoop Servizi), rilevano l’impossibilità di consumare il pasto domestico nello stesso locale dove viene distribuito quello della refezione, sia perchè quest’ultimo costituirebbe maggiore garanzia di corretta nutrizione, favorendo l’apprendimento di adeguate scelte alimentari, sia per le difficoltà nell’effettuare una congrua analisi dei rischi, in applicazione dell’HACCP.

Secondo l’ANCI, poi, la sentenza della Corte di Appello di Torino metterebbe in discussione la mensa scolastica quale conquista del “diritto al pasto uguale per tutti”.

Pertanto il predetto emendamento all’art. 5 introdurrebbe il seguente periodo: “I servizi di ristorazione scolastica sono parte integrante delle attività formative ed educative erogate dalle istituzioni scolastiche”.

Premesso l’antico brocardo latino per il quale “quod lex voluit, dixit”, da tanto tuttavia non pare potersi desumersi con certezza una obbligatorietà di adesione ad un servizio a domanda, come riconosciuto innanzi e confermato anche dall’art. 6 del recente Dlgs 63/2017 che recita: “laddove il tempo scuola lo renda necessario, alle alunne eagli alunni delle scuole pubbliche dell’infanzia, primarie esecondarie di primo grado sono erogati, … servizi di mensa, attivabili a richiesta degliinteressati.”

Inoltre non è chiaro come un “servizio” (peraltro a pagamento, per quanto in proporzione al reddito, nella scuola dell’obbligo) identificato all’art. 2 quale “attività di approvvigionamento, preparazione, conservazione, distribuzione e somministrazione di pasti, definita da un contrattopossa finire per integrare attività di tipo formativo ed educativo.

Peraltro il tempo scuola non prevede sempre e necessariamente il tempo mensa ma (solo) nelle scuole dell’infanzia, primaria e (limitatamente) nella secondaria di primo grado il servizio è attivabile “a richiesta degli interessati”.

Ci si chiede quindi se si voglia giungere a condizionare la possibilità di scegliere un tempo scuola che preveda la mensa (pieno o prolungato) all’adesione al servizio.

Occorre poi aggiungere che l’art. 3 della Costituzione parla di uguaglianza “davanti alla legge”, elencando una serie di ragioni che ci rendono diversi: sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali al fine di garantire in condizioni di diversità le stesse opportunità. Perciò appare più corretto affermare che il servizio mensa ha garantito il “diritto di un pasto per tutti” e non “lo stesso” pasto

La corresponsabilità educativa, poi, implica la condivisione e non l’adesione forzata ad un modello.

Intanto per 18 luglio è previsto il seguito dell’esame in Commissione. Ma per i rappresentanti dei genitori della scuola ancora mancano organismi territoriali adeguati in grado di portare le istanze dalle periferie a livello centrale

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