Home I lettori ci scrivono A che servono i cellulari in classe?

A che servono i cellulari in classe?

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Ma quali fini didattici si possono intravedere nell’uso del cellulare a scuola durante le ore di lezione?

Vi è piuttosto nel secondo decalogo voluto dalla ministra Fedeli, dopo quello dedicato alle fake news, collegato all’uso del cellulare a scuola, un malcelato e sproporzionato delirio di onnipotenza, essendo i decaloghi per antonomasia un rimando simbolico alla Divinità nella nostra tradizione religiosa.

E forse anche un escamotage per alcuni docenti di evitare impietose verifiche sulla propria inadeguata preparazione da un lato e dall’altro la terza conferma in pochi giorni che il Miur sta soltanto cercando di offrire “sensazioni” e non “soluzioni”.

Se in questo caso gli standards europei che spesso condizionano, oltre ogni ragionevolezza, lo spirito creativo e anticonformistico di opinionisti, giornalisti, uomini di cultura avessero funzionato da deterrente contro le folkloristiche butades di fine mandato della ministra Fedeli, l’Italia ne avrebbe in questo caso senz’altro giovato.

In controtendenza con le decisioni assunte dal ministro francese Jean-Michel Blanquer che ha vietato l’uso degli smartphone in classe a fini didattici, vi è stato un chiaro via libera in Italia, dove la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, capovolgendo la decisione presa nel marzo 2007 dall’allora ministro Giuseppe Fioroni di vietare agli studenti di usare in classe i “cellulari”, ha varato addirittura un Decalogo per l’uso dei dispositivi mobili a scuola: un uso “responsabile e competente”, sotto la guida degli insegnanti.

L’uso di aggettivi quali “responsabile e competente” e termini quali “capacità critica e autonomia”, più volte evocati nei vari punti del decalogo, presuppongono, perché sia possibile concretamente un uso dei medesimi in modo “responsabile e competente”, che tali condizioni siano e debbano necessariamente essere preesistenti come frutto di una maturità conseguita nel percorso evolutivo di crescita.

In assenza di questo già perseguito traguardo di adeguata formazione personale preesistente, non sarà certo ipotizzabile che le condizioni di responsabilità possano derivare dall’interazione con i dispositivi mobili, pur prevedendone un loro uso, sotto la guida degli insegnanti che diventano una sorta di “geolocalizzatori” di informazioni erranti nei network e nei social media: il tutto in classe, durante le ore di lezione!

Bene, questo ci fa ben sperare che il problema dei cervelli in fuga dall’Italia, nel prossimo imminente futuro non sarà più un problema. Perché? Perché non ci saranno più “i cervelli”!

Come è possibile pensare di elevare la qualità della didattica e della cultura, in un Paese come il nostro che ha goduto di maestri eccellentissimi nel campo delle letteratura, della storia, della scienza, della matematica, della fisica, se dalle roccaforti delle istituzioni che dovrebbero incarnarne lo spirito della più elevata tradizione culturale e rappresentarla al meglio vengono lanciate spettacolari rappresentazioni di non-sens?

Senza scomodare le più accreditate teorie filosofiche, sociologiche, psico-pedagogiche, i termini “responsabilità”, capacità critica, consapevolezza, autonomia, che nel decalogo vengono più volte evocati sono categorie umane che contraddistinguono un certo tipo di personalità, ma che non sono affatto assimilabili al risultato prodotto dall’interazione degli studenti e delle studentesse con gli strumenti digitali e con la tecnologia, soprattutto durante le ore di lezione in classe, come si desume invece dai contenuti del decalogo, predisposto dalla ministra Fedeli.

Mara Massai