Ma il dibattito è antico, rileva Il Fatto quotidiano, e da decenni si parla di eccessiva femminilizzazione della scuola italiana. Secondo i dati più recenti le donne rappresentano il 79% del corpo docente, percentuale che sale fino a quasi il 100% nelle scuole dell’infanzia, al 95% nella scuola primaria e all’85% nella scuola secondaria di primo grado. La situazione cambia un po’ nella scuola secondaria di secondo grado dove le professoresse rappresentano in media il 59% del totale anche se le percentuali variano in base al tipo di istituto. Ad esempio, si sale all’85% nei licei pedagogici.
Sulla base di queste percentuali, la prof Mapelli spiega: “La conseguenza della femminilizzazione è che vengono meno figure maschili autorevoli di riferimento che sarebbero importanti per i bambini e per i ragazzi che in genere hanno come unico parametro il padre, spesso assente. Inoltre molti di loro vivono la scuola come un luogo di donne, dalle quali mantengono un certo distacco e diffidenza. Questo crea un allontanamento verso la cultura in generale che viene identificata come femminile. Il fenomeno ha conseguenze disastrose: gli uomini leggono meno, vanno meno a teatro e al cinema, rendono meno a scuola in termini di voti e si laureano meno delle donne”.
La femminilizzazione diminuisce però con l’aumentare del livello: all’università le docenti universitarie e le ricercatrici sono il 35% del totale (erano il 14% nel 1959) e si scopre pure che le donne che coprono il ruolo di rettore sono poche unità in tutta Italia (secondo i dati del Miur del 2013 sono 5 su 78).
E’ considerato invece poco prestigioso insegnare nei gradi inferiori della scuola. “Le ragioni sono soprattutto culturali – dice Mapelli. – Infatti si ritiene che l’insegnamento rientri nella categoria dei lavori di cura e quindi femminili. C’è un evidente stereotipo di genere alla base di questa situazione. E’ un discorso complesso che con altre studiose e studiosi abbiamo affrontato negli anni scorsi senza però mai riuscire a trovare i luoghi adatti per avviare un cambiamento. Purtroppo è un fenomeno che penalizza i pochi uomini che invece riconoscono l’importanza del valore sociale e culturale dell’essere insegnanti. Si tratta di uomini motivati che però si trovano in un mondo tutto femminile che li tratta con un certo sospetto. Mi raccontava un maestro di asilo che il primo giorno di scuola è sempre un disastro perché quando le mamme accompagnano i figli e si trovano davanti un uomo dimostrano una forte resistenza. Questi uomini devono conquistarsi una fiducia che non è scontata. Senza contare che, a livello sociale, sono considerati dei lavoratori di serie B”.
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