Il sessismo e la violenza di genere continuano a imperversare, anche tra i giovani: il clima di prevaricazione non risparmia luoghi che dovrebbero essere spazi di crescita, formazione e rispetto. Nemmeno la scuola, uno degli ambienti educativi per eccellenza: è innegabile che fenomeni di discriminazione e violenza siano ancora troppo presenti, pure tra i banchi. Anche in contesti che dovrebbero rappresentare esempi di uguaglianza e rispetto, come il campo da gioco. Lo sport, che da sempre è giustamente considerato come un’opportunità di crescita personale e collettiva, non riesce in pratica ad affrancarsi da una società che fatica a superare stereotipi e pregiudizi di genere.
Un episodio emblematico è avvenuto il 20 febbraio scorso a Castellammare di Stabia, dove una donna arbitro è stata pesantemente insultata e minacciata durante una partita di calcio. Questo evento ha suscitato indignazione, ma purtroppo non è il primo caso di violenza contro figure femminili nel mondo dello sport. La reazione violenta, insensata e sessista nei confronti di un’arbitra, che ricopre un ruolo di autorità durante una gara sportiva giovanile, evidenzia la persistente difficoltà nel riconoscere pari dignità e rispetto per le donne in tutti gli ambiti della vita sociale.
Il caso di Castellammare di Stabia ci offre un’importante lezione: l’arbitro, in quanto figura che incarna l’autorità e la giustizia, dovrebbe essere rispettato a prescindere dal genere, dalla sua origine o dalla sua età: non è solo un “giudice” del gioco, ma incarna l’educatore che trasmette i valori della correttezza, dell’etica e del rispetto reciproco. Valori che, evidentemente, non trovano spazio tra molti, troppi, giovani.
Il rispetto delle regole dello sport, vale non solo per il calcio, rappresenta infatti una metafora potente delle regole che governano la nostra società. L’arbitro è il custode di questi valori, e proprio attraverso il rispetto delle sue decisioni si misura la capacità di ogni partecipante e spettatore di riconoscere il valore della giustizia e della parità.
È il caso di ricordare che nel calcio, come in altri sport, ogni partita è accompagnata dalla figura dell’arbitro, il quale stabilisce le regole e le fa rispettare per il bene comune. E le stesse dinamiche si verificano nella scuola, dove l’insegnante o il dirigente scolastico sono chiamati a promuovere valori analoghi: equità, rispetto per l’altro, e giustizia.
Se nel contesto sportivo un giocatore impara a rispettare l’arbitro, in ambito scolastico lo studente dovrebbe essere educato a rispettare le regole di una comunità che favorisce l’inclusione, la parità e il benessere di tutti i membri. Gli stessi principi che dovrebbero essere applicati in qualsiasi contesto: dallo sport alla vita quotidiana.
In questo senso, la scuola ha un ruolo cruciale: non è solo un luogo dove si trasmette il sapere, ma anche uno spazio per la formazione sociale: il percorso educativo deve essere continuo, focalizzato sul rispetto, sulla valorizzazione delle diversità e sulla promozione di un cambiamento culturale che parta dal riconoscimento e dalla difesa dei diritti di tutti, a prescindere dal genere, dall’età o dal ruolo che si ricopre.
Gli insegnanti, come educatori, devono assicurarsi che i ragazzi comprendano l’importanza di un cambiamento profondo nelle loro attitudini e convinzioni, non solo a livello teorico, ma anche attraverso comportamenti concreti. La lotta contro la violenza di genere deve essere una
questione che permea ogni aspetto della vita scolastica, dalle lezioni in aula alle attività extracurriculari. Non basta parlarne, è necessario agire, trasmettendo ai ragazzi una consapevolezza che vada oltre le parole e si traduca in comportamenti rispettosi e attenti.
A questo proposito, un contributo significativo arriva da Gino Cecchettin, che alla ‘Tecnica della Scuola’ ha spiegato come il percorso per estirpare violenza e prevaricazioni sulle donne debba passare attraverso una formazione trasversale: il padre di Giulia, massacrata dal suo ex fidanzato, sottolinea la necessità di un’istruzione che non tratti la violenza di genere come un problema separato, ma la colleghi ai principi fondamentali del rispetto delle regole, un’idea che permea ogni aspetto della vita.
Ecco perché è fondamentale insegnare ai giovani a considerare il rispetto come un valore universale, che si apprende anche nell’ambiente scolastico, ma che poi va oltre e funge da fondamento per tutte le relazioni umane.
Il compito della scuola è impegnativo, ma certamente non impossibile. Adottando un approccio integrato che combina educazione civica, attività sportive e formazione comportamentale, possiamo creare una generazione più consapevole e rispettosa.
È essenziale che scuole, famiglie e società lavorino insieme in armonia per fornire ai giovani gli strumenti di cui hanno bisogno per riconoscere e combattere qualsiasi forma di discriminazione.
La battaglia contro il sessismo deve iniziare negli ambienti educativi, dove si formano le menti di domani, e dovrebbe tradursi in fatti concreti, come la correttezza in un campo da gioco, promuovendo sempre il rispetto reciproco, senza mai lasciare un millimetro di spazio alla violenza e all’intolleranza.
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