Siamo già sette mesi dalla solenne introduzione dello sport nella Costituzione italiana. Con la Legge costituzionale n. 1 del 26 settembre 2024, infatti, all’art. 33 della Carta veniva inserito il comma «La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme». Non il diritto allo sport, dunque, ma il valore dell’attività sportiva come fautrice di benessere psicofisico. Un passo avanti, comunque, per un Paese dedito ad assistere agli eventi sportivi, ma non praticarli: infatti, solo il 3% dei cittadini italiani pratica sport regolarmente (contro il 40% degli europei e il 72% di finlandesi e svedesi).
Partita da FdI (relatori i senatori Urzì di FdI e Berruto del PD), l’iniziativa fu subito vantata come grande traguardo dal deputato di FdI Fabio Rampelli (ex nuotatore e vicepresidente della Camera), il quale non si lasciò sfuggire la ghiotta occasione per caldeggiare la “sussidiarietà” (concetto caro al neoliberismo): «Tutti gli istituti superiori abbiano impianti sportivi agibili e moderni favorendo, ove non ci fossero condizioni economico-finanziarie, il regime di sussidiarietà, affidando la gestione delle strutture sportive a società e associazioni in cambio della manutenzione». Insomma, la — ormai consueta — sostituzione del pubblico con il privato?
L’inserimento nell’art. 33 suggerisce il valore educativo riconosciuto allo sport: riconoscimento che nella Costituzione del 1948 mancava. I padri costituenti intendevano probabilmente prender le distanze dall’uso propagandistico di regime che dello sport era stato fatto durante il fascismo, quando il Comitato Olimpico Nazionale (CONI) era alle dirette dipendenze del Partito Nazionale Fascista (come fosse un’articolazione del governo).
Non è la prima né la più importante modifica che la Costituzione abbia subito: ce ne sono state ben 25 dal 1948 al 1996 e 21 dal 1997 al 2023. La modifica attuale rischia di restar simbolica, in un Paese che brilla per la bellezza dei propri princìpi fondanti e per l’arte di lasciarli sulla carta. Quanti enunciati costituzionali sono — nei fatti — lettera morta? Non siamo forse avvezzi a una prassi quotidiana che pare smentire, nel sentire comune, i principi costituzionali fondanti del nostro vivere civile?
L’Italia, d’altronde, non è la sola ad aver inserito lo sport nella propria Costituzione: anche Portogallo, Spagna, Croazia, Ungheria, Grecia, Romania, Bulgaria, Polonia e Lituania lo hanno fatto prima di noi. Non sono i Paesi più avanzati, né i più ricchi. Viceversa, la Francia non ha riferimenti espliciti allo sport in Costituzione, ma — come mettemmo in evidenza già quasi tre anni or sono — le scuole pubbliche posseggono piscine efficienti e palestre ottimamente attrezzate per i propri alunni.
Scrivere un principio in Costituzione non costa nulla, e in più porta lustro. Realizzarlo, invece, è un altro paio di maniche, perché richiede coerenza, impegno e investimenti miliardari.
Incoraggiante sembrerebbe tuttavia una recentissima notizia: il MIM ha avviato (con il ministero per lo sport e i giovani) il Progetto nazionale “Allestimento spazi non convenzionali per l’attività motoria e sportiva nelle Scuole”, destinato a elementari e medie prive di palestra o con palestra inagibile. Al progetto partecipa anche Sport e Salute S.p.A., azienda pubblica che fino al 2018 si chiamava Coni Servizi S.p.A., e il cui unico azionista è il ministero dell’economia e delle finanze (MEF).
Basterà questo a rendere effettivo quanto scritto nel nuovo comma dell’articolo 33 della Costituzione? Come è noto, 2,1 miliardi del PNRR sono destinati all’ammodernamento tecnologico delle aule secondo il “Piano Scuola 4.0”. Intanto però, sei scuole su dieci non hanno nemmeno la palestra. Dato che riguarda, peraltro, mezzo milione di bimbi delle primarie del Sud (due terzi del totale, con un picco dell’83% del totale in Calabria). Persino nel Nord l’assenza di palestre riguarda più di metà degli studenti. Idem per la secondaria di primo e secondo grado, con punte rispettivamente dell’87% e dell’82% in Basilicata.
Che Scuola può essere quella che non cura l’aspetto psicofisico della propria pedagogia? E quali sono i costi che l’Italia tutta paga per le patologie causate dalla sedentarietà dilagante?
La decima edizione del Rapporto ISTAT sul Benessere equo e sostenibile (BES) del 2022 ha indicato un aumento della sedentarietà in Italia, che riguarda il 36,3% dei nostri concittadini (contro il 32,5% del 2021), e persino il 20% dei giovani fino a 24 anni. I maggiorenni in sovrappeso sono il 44,5% (44,4% nel 2021), soprattutto tra i cittadini con titolo di studio basso.
Molteplici i danni alla salute dovuti a sedentarietà e sovrappeso: ansia; patologie cardiovascolari; cancro; depressione; diabete; ipertensione; obesità; osteoporosi. Conseguenza: quasi cinque milioni di morti ogni anno. Molto, molto peggio del temutissimo CoViD-19.
Tra i giovani cresce il fenomeno degli hikikomori: ragazzi e ragazze ritirati nella propria camera, in un mondo virtuale, fatto di videogiochi, cellulare, social media e allontanamento dalla vita pubblica. Lo sport potrebbe aiutarli a spostare il proprio sguardo fuori da sé, dalle proprie ossessioni e dai propri timori.
La disattenzione verso problemi di questo tipo è sempre costata a tutti noi italiani molto di più dei miliardi che lo Stato italiano non ha investito nella Scuola, nell’educazione, nella prevenzione. È lecito sperare in una svolta?
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