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Settimana corta a scuola, senza buoni pasto e a discapito dei docenti

Finora la settimana corta è stata vista come un’opportunità per le famiglie che apprezzano il sabato libero o, al contrario, come qualcosa di preoccupante per chi teme un sovraffaticamento degli studenti durante i cinque giorni di lezione. Un altro “presunto” beneficio sarebbe il risparmio energetico nei plessi scolastici, soprattutto d’inverno, caldeggiato da enti locali, regioni e ministeri.

Ma perché “presunto”? È bene chiarire che ridurre l’orario da 6 a 5 giorni la settimana, significa costringere i lavoratori della scuola, in particolare il personale Ata, a svolgere turni più lunghi, ben oltre le 6 ore, che vanno ad incidere pesantemente sugli orari ed il bilancio delle loro famiglie.

Mentre nei settori pubblico e privato il datore di lavoro eroga un servizio mensa o buoni pasto, nella scuola questo diritto continua ad essere negato, costringendo così i lavoratori ad avviare contenziosi che poi irrimediabilmente troveranno soddisfazione in sentenze pronunciate perfino dalla Corte di Cassazione. Al momento solo le province di Trento e Bolzano riconoscono i buoni pasto: una palese contraddizione, non solo tra regioni di una stessa nazione, ma tra lavoratori di comparti diversi.

La questione non è da poco se si considera che in molte scuole non è prevista una mensa gratuita per docenti e ATA, come avviene, al contrario, negli istituti comprensivi. In tutte le altre saranno costretti a pagare gli arretrati dato che la Cassazione ha indirettamente riconosciuto che su ogni lavoratore (già con stipendi da fame e che finora pranzava a casa a modiche spese) non possono gravare circa 250 euro al mese di pasti; e non è nemmeno giusto che si debbano mangiare panini portati da casa 5 giorni su 7 (Corte di Cassazione n. 32113/2022 – 31137/2019 – 22985/2020 – 23255/2023).

Purtroppo queste considerazioni di ordine sindacale non hanno mai trovato riscontri negli organi collegiali e nelle Rsu. Si è sempre partiti dall’assunto sbagliato che al personale basta “regalare” il sabato libero ed è tutto a posto.

Nessuno ha mai considerato che organizzare turni da 7 ore e 12 minuti per 5 gg, non permette ai lavoratori di pranzare nelle proprie case a costi contenuti e ad orari decenti. Peggio ancora su turni con 2 giorni da 9 ore e 3 da 6 ore al fine di non erogare 3 ipotetici buoni pasto; considerando che spesso il personale svolge attività aggiuntive e dovrà recuperare i prefestivi, ci saranno settimane d’inverno in cui non vedrà neanche la luce del giorno perché sarà rinchiuso a scuola (e serviranno comunque 5 buoni pasto). Aggiungete, infine, la mezz’ora di pausa e scoprirete che chi entra a scuola alle 8 uscirà alle 17,30 per buona parte della settimana.

Val la pena anche ricordare che quando il sabato libero diventerà per le famiglie un diritto acquisito come la domenica, prima o poi un populista di turno potrà inveire contro gli orari troppo lunghi subìti dai poveri studenti e proporrà una riduzione di qualche ora, con gravi ripercussioni sull’organico.

Danilo Fiore

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