Il Fatto Quotidiano sostiene che l’Italia rischia di dover ristrutturare il debito pubblico nei prossimi sei mesi e al ministero del Tesoro si starebbe studiando già da giorni come affrontare il problema. L’analisi si basa sulle altalene legate ai buoni del tesoro.
“Il Btp decennale emesso il 2 maggio 2003 con una cedola del 4,25 per cento e scadenza il primo agosto 2013 pagava un rendimento di 74 punti base. Cioè prestando alla Repubblica Italiana soldi per un mese circa si incassa lo 0,74 per cento di interesse. Un Bot a sei mesi emesso il 31 gennaio 2013 con scadenza il 31 luglio, quindi un giorno prima del Btp, pagava invece un rendimento di 48 punti base, cioè 26 punti in meno del Btp. Rispetto al Bot, il Btp rende il 50 per cento in più.”
“Quando c’è uno squilibrio di questo tipo, il mercato di solito tende a chiudere “l’arbitraggio”, cioè vende Bot e compra Btp finché la differenza non si annulla. Se il mercato tollera l’inefficienza ci deve essere una ragione. La spiegazione è che c’è una differenza nascosta tra Btp e Bot. I Btp sono prestiti a lungo termine, i Bot a breve. Quando un Paese dichiara un default, anche parziale, e chiede di rinegoziare le condizioni sul suo debito, di solito i prestiti a lungo termine sono coinvolti mentre quelli a breve, usati dalle banche come collaterali (cioè garanzie) per le loro operazioni quotidiane, restano al sicuro.”
“Anche perché per discutere la ristrutturazione di un debito pubblico ci vogliono tempi lunghi, almeno un anno, e quindi i prestiti a breve nel frattempo vengono tutti rimborsati. Morale: o c’è una spiegazione di questo fenomeno che è sfuggita ad Antonio Guglielmi e al suo team di analisti, oppure il mercato sta “prezzando” il rischio di una ristrutturazione del debito pubblico italiano nei prossimi mesi. Questo non significa che il default è certo, ovviamente, ma che gli investitori si stanno cautelando chiedendo rendimenti più elevati per pareggiare il rischio. Al Tesoro ne sono consapevoli.”
Se così fosse, se cioè in autunno ci sono da trovare 20-30 miliardi, la domanda che sale è la seguente: dove prenderà questo traballante governo i soldi necessari? Dentro quali tasche di ministeri attingerà? La scuola, così come promesso dalla ministra Carrozza, ne uscirebbe immune? O si inventeranno nuove tasse?
Da qualunque angolazione si vede questa presunta “manovra”, non c’è da stare sereni.
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