Politica scolastica

Si può affermare che in classe non si fa politica?

La preside dell’Istituto catanese, che avrebbe portato alcuni suoi alunni al comizio di Matteo Salvini, segretario della Lega, nella cui lista lei stessa è candidata, si è difesa, dall’accusa di non avere impedito tale partecipazione, dicendo: “Non ho mai fatto politica a scuola”.

Tuttavia, come lei, tanti altri docenti e dirigenti dicono la stessa cosa: non faccio politica in classe. Ma è veramente così? I professori realmente non fanno politica (che non può essere tuttavia propaganda o galoppinaggio, condannabili da ogni punto di vista) coi loro alunni? 

Improbabile, perché già nelle stesse materie che insegnano, anche di carattere scientifico, nella scelta stessa degli argomenti da proporre si opera una cernita che ha a che fare con la propria ideologia che entra dritta diritta nella propria visione politica del mondo. Non occorre fare esempi in riferimento soprattutto alle materie umanistiche. 

Ma non solo. 

Posto pure che gli autori scelti e gli argomenti siano di diversa formazione culturale e politica, il livello di spiegazione e di raffronto passa sempre attraverso la mediazione del docente che indugerà di più sull’uno rispetto all’altro, si appassionerà più sull’uno rispetto all’altro, userà anche un diverso tono di voce per l’uno rispetto all’altro. 

E ancora.

Per quale motivo un insegnante, che gode di ampia libertà di insegnamento, non possa esprimere coi suoi alunni, delle superiori soprattutto, la propria convinzione politica, alla domanda, per esempio, che può arrivare da un allievo: prof per chi vota lei? 

Una domanda legittima alla quale un insegnante non può rispondere nascondendosi dietro il paravento della segretezza del voto (in somiglianza della preside che si candida apertamente per la Lega), nascondendo così il proprio impegno nella vita sociale del paese e dunque la sua partecipazione e dunque la sua scelta consapevole e matura alla gestione della Nazione, dando la sua fiducia a una parte politica che ne determinerà il futuro. 

E a un’altra domanda relativa alla “Jus Scholae” o alla “Jus Soli”, come risponderà il prof, considerato che su questa materia gli schieramenti politici opposti sono evidenti?

In altre parole, può un educatore-maestro nascondere la sua idea di politica ai giovani che stanno per affrontare il mondo? Se può candidarsi alle elezioni, perché non può dire ai suoi alunni per chi vota e per quale schieramento partitico si volge la sua coscienza di cittadino? 

E a tal riguardo vengono in mente i docenti che non giurarono fedeltà al fascismo, affermando, anche difronte ai propri allievi, la loro estraneità e la loro non partecipazione ai misfatti della dittatura. Qualcuno subì l’olio di ricino, ma un principio, quello della libertà di coscienza, venne confermato e affermato.

E in riferimento proprio a quella storia, il problema appare invece di altra natura, quando ciò chi comanda impedisce la libera espressione degli insegnanti, e li vuole tutti dalla propria parte. E a tal riguardo ci viene in mente quella prof palermitana che, nel maggio 2019, osò, per un lavoro in classe, accostare la promulgazione delle leggi razziali del 1938 col “decreto sicurezza” dell’allora ministro degli interni. 

Ecco, queste sono le censure che preoccupano, non la questione relativa alla politica in classe che in ogni caso non si deve né si può assimilare alla propaganda spicciola o al galoppinaggio che nessun insegnate serio può accettare, anche se candidato. 

Il grande merito della nostra scuola, anche se a molti non piace, è quello di avere docenti che vengono ancora assunti attraverso graduatorie pubbliche dentro cui tutta la nazione, con tutte le sue ideologie e i suoi partiti, si ritrova e dunque se il prof di sinistra ha spiegato la storia dal suo punto di vista, quello di lettere proporrà il suo autore dalla propria prospettiva e così via.

La scuola è lo specchio della società e dunque non può fare altro che riflettere ciò che nella società si consuma ogni giorno. 

Pasquale Almirante

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