Già negli anni precedenti oltre otto miliardi di euro sono stati annullati dai finanziamenti alla scuola pubblica, addirittura qualche commentatore si è lanciato in riflessioni disinvolte, basate sul fatto che fino al 2009 la scuola italiana sia stata finanziata oltre misura. Resi all’osso i finanziamenti scolastici, il monte ore delle materie disciplinari e i contenuti trasmessi, ora si cerca di fare le solite riforme creative per azzerare le speranze lavorative degli insegnanti precari e rendere impraticabili le attività didattiche dei docenti di ruolo. Ma perché questo accanimento verso la scuola ? Perché la scuola nel contesto delle attività lavorative nazionali rappresenta l’inessenziale, ovvero un settore della pubblica amministrazione dove si può trovare l’accordo politico per innovare, senza creare squilibri di potere. Ma quali sono per la politica i settori intoccabili?
Probabilmente sono le Regioni e gli enti a partecipazione statale. Ad esempio diventa complicato riformare le Regioni, puntando su macroaree che abbiano solo funzione di programmazione e pianificazione, per abbassare notevolmente i costi dello Stato. Diventa ancor più complesso puntare sulla diminuzione delle partecipate statali o meglio delle partecipate pubbliche, infatti,occorre precisare che, oltre alle società direttamente partecipate dallo Stato, ve ne sono circa 6000 partecipate dagli enti locali, che rientrano comunque tra le partecipazioni pubbliche. Secondo una stima della Kpmg del 2010 le partecipazioni in queste società hanno un valore teorico valutabile tra i 30 e i 35 miliardi di euro, di cui non più del 40% riferibile a società quotate in Borsa. Pertanto si dovrebbe fare uno sforzo istituzionale per cercare di lasciare tranquillo il personale della scuola, perché non è lui che deve stare al centro dei tagli richiesti dall’Europa.
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