Forse la campagna elettorale in corso e forse pure la grande platea dei richiedenti, starebbero convincendo il governo a dare il via libera al riconoscimento in Italia dei titoli conseguiti all’estero per insegnare soprattutto nel sostegno.
Certamente, in questo modo si toglierebbero pure i contenziosi tra l’amministrazione e i tanti che, pagando sia le agenzie di mediazione sia le università straniere che elargiscono i titoli, chiedono l’ingresso nelle graduatorie e dunque un posto di lavoro, scavalcando magari chi non può permettersi queste fughe e chi ha seguito le più dure e selettive regole dei corsi di specializzazione adottate in Italia.
Il merito ancora una volta non paga, tranne che, come viene ventilato da Tuttoscuola, si stabilisse per costoro la frequenza di un corso di “qualificazione” idoneo a formare tali aspiranti prof esterofili; un corso compensativo insomma per qualificare meglio il titolo straniero. Si tratterebbe in pratica di sistemare circa 12mila situazioni in attesa di accertamento e autorizzazione.
E se avvenisse, che succederebbe?
Innanzitutto, esamina Tuttoscuola, l’inserimento a pieno titolo nelle graduatorie provinciali per le supplenze (GPS) e la cancellazione dei numerosi contenziosi, mentre si andrebbero a riempire i posti ancora liberi o dati a supplenza nelle scuole del nord, in modo particolare, ma si aprirebbe nello stesso tempo la stura alla frequenza dei “titolifici” stranieri e in modo particolare di quelli cresciuti dalle parti della Romania o della Bulgaria dove, senza colpo ferire (sembra con una sola settimana di presenza) ma pagando molto salato, spese di viaggio e soggiorno compreso, si acchiappa l’agognato titolo.
Un turismo formativo insomma che si aggiunge ad altri turismi di cui la Nazione è piena ma che dà lavoro alle agenzie ad hoc nate. Ma non certo alla qualità dell’insegnamento
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