Sembra, spulciando i vari osservatori sulla scuola, che moltiisimi docenti siano propensi a votare No al referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo. Ma sembra pure, leggendo le motivazioni addotte, che il motore più spinto sia l’acredine nei confronti del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e della ministra dell’istruzione, Stefania Giannini, piuttosto che una sapiente e libera lettura dei quesiti referendari e degli articoli che si intendono cambiare. Si starebbe in pratica avvertendo, se questi osservatori sulla scuola sono attendibili, che tali docenti intenderebbero dare una risposta del tutto negativa e immediata al modo con cui il Governo, che aveva promesso di stupire con la legge 107, detta della Buona scuola, ha attivato i suoi progetti sull’Istruzione. Le attese, che tante speranze avevano diffuso, sono andate perse e moltissimi prof, di fronte a tanti sbandamenti e difficoltà, vorrebbero pareggiare i conti, mandando a casa premier e ministra, compresi i sottosegretari al Miur.
Eppure, se per un verso Renzi ha stanziato per la scuola qualche miliardo (3,5 dice il premier) per l’edilizia (di cui nessuno mai prima si era curato, neanche di pubblicare un’Anagrafe che ora c’è), per assumere circa 100 mila docenti precari e no (di cui prima si parlava solo in termini di agenzia di collocamento) con concorsi e con le Fasi: O, A, B e C, per concedere il Bonus ai meritevoli e un Bonus di 500 euro per l’aggiornamento (mai concesso mai, nemmeno per acquistare un libro), dall’altro i diretti interessati mugugnano perché la contropartita della legge 107 è alquanto subdola e su quattro punti in modo particolare: la chiamata diretta degli insegnanti da parte del preside, l’alternanza scuola-lavoro, la valutazione del merito e il cosiddetto bonus scuola per le private.
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Tuttavia il referendum indetto dai sindacati per abrogare i quattro punti è andato deserto perché non si sono raccolte nemmeno le firme: un flop dei sindacati o dei prof a cui non interessava? Si aggiunge a questo “quaderno delle doglianze” il guasto al sistema dei trasferimenti, al cosiddetto algoritmo, che doveva assegnare le sedi nei trasferimenti, cosicchè tanti sono stati sballati nei vari Nord, mentre nessuno ha pensato di incolpare le Regioni del sud che del tempo pieno a scuola, che consentirebbe molte cattedre, non si curano (al Nord raggiunge infatti quasi il 90% mentre in Sicilia solo l’8%). Qualcuno, esagerando, ha parlato di “deportazione” (bruttissimo termine che richiama ben altre terribili deportazioni), ma di contro la gran parte dei docenti ha ottenuto il trasferimento desiderato.
Ora se il Governo, nella sua foga di stupire lo stupore dei prof ha fatto pure stupefacente confusione, appare tuttavia non coerente, da parte di professionisti del sapere, di educatori alle scelte consapevoli, votare No solo per ritorsione e rappresaglia in modo di mandare a casa Renzi. Il voto al referendum costituzionale insomma dovrebbe rimanere comunque sganciato dalla politica scolastica, libero di valutare, al di là delle gaffe della ministra, cosa di buono o di non buono può portare alla Nazione la riforma. E questa valutazione razionale, senza pregiudizi, autonoma, consapevole delle modifiche costituzionali deve raggiungere soprattutto i professori che hanno la “mission” di illustrarne i contenuti ai loro alunni, “sine ira et studio”, da ottimi maestri al di sopra della contesa politica.
Un referendum insomma che si dovrebbe valutare per le domande che pone e non se è buono per consentire l’imboscata al Governo. Fermo restando, se si guarda al passato, che possono sempre ritornare tempi ancor più bui.
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