Una ragazzina di 12 anni accoltella un compagno perché…., un altro uccide per delle cuffiette, un altro ancora per il gusto di curiosità, cioè per comprendere cosa si avverte nell’ammazzare qualcuno, e non importa chi…!?
Guardo ai banchi messi in fila a due a due, vedo tanti ragazzi tutti uniformati nella divisa fatta di un cellulare tra le mani, un invio di wuozzap, di un selfie: isole di un arcipelago chiamata classe.
«Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa mi è lecito sperare?».
Cioè, e noi? Abbiamo ancora motivo di narrare, parlare, offrire, donare, non per obbligo lavorativo, ben sì per amore alla nostra professione che ci vuole sempre e comunque detentori di un mandato, soprattutto in e di coscienza, avvertendo tutta la solitudine di un’apparente sconfitta che si veste anche di delusione per una Politica che continua a raccontare la sua storia di nulla, diversamente dalle fiabe che insegnavano, e di un ruolo che ha perso la sua autorevolezza che come arciere lancia il Domani nel futuro, al quale non si apparterrà?
Abbiamo perso il significato più profondo e autentico della nostra vita, consegnando alla ragione, che chiamiamo progresso, ogni pretesa di possedere un sapere su Dio e sull’avvenire, cui unica destinazione è l’obbligo ad obbedire. Siamo divenuti tutti Perseo e Narciso (e che fine hanno fatto…), e dunque si rischia di fare, se non poniamo un argine…?! Dunque non una destinazione speranza in grado di rifondare il senso della nostra esistenza su un presupposto inedito e dirompente: la libertà di obbedire (non l’obbligo…).
«Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa mi è lecito sperare?».
Proseguire sulla seconda destinazione. Noi, Scuola, portare avanti il nostro cammino, sulle macerie di un assoluto il cui unico linguaggio è un vuoto che nel branco virtuale e non soltanto, oramai, trova il suo lessico, la sua appartenenza, il su o riconoscersi, dove i valori sono ribaltati. Tentare di restare l’unico argine ad una deriva che abbraccia tutti, che nell’autoritarismo vestito di populismo e che obbliga i giovani a pagare per lavorare (TFA, CFU, Abilitazioni…) si ripropone sulla scena sociale, furbo nell’aver colto la fragilità degli uomini: essere un gregge che “a seconda delle circostanze gli impulsi cui esso obbedisce possono essere nobili o crudeli, eroici o pusillanimi […]”
«Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa mi è lecito sperare?».
Consegnare, fedeli al nostro mandato o giuramento ippocritiano, la possibilità data dalla seconda disponibilità che ci pone in relazione con gli altri, che resiste all’egoismo favorendo la solidarietà, e ridà valore alla dimensione morale, al fine di agire con responsabilità. Soltanto in tal modo allora non tutto sarà perduto: solo così, infatti, potremo definirci donne e uomini davvero liberi e guardare con speranza, ragionevole e fondata, al futuro che ci attende.
Mario Santoro
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