In merito alla lettera “La vera riforma della scuola richiederebbe meno divertimento e più studio“, segnalo che la scuola italiana forse non è quella messa peggio.
In effetti lo credevo anch’io, fino a quando alcuni miei allievi tornati da un viaggio di studio negli Usa mi hanno raccontato che là la vita scolastica è articolata in modo diverso dalla nostra, un modo che lascia decisamente perplesso chi, come il sottoscritto, come Mario Bocola e ancora tanti addetti all’istruzione, crede che a scuola si vada per studiare.
Sembra infatti che gli studenti americani durante le ore di scuola facciano cose che di scolastico hanno poco o nulla: mangiano, bevono, telefonano, ascoltano la musica e gli insegnanti tengono loro compagnia!
Ma allora mi domando: come possono gli Stati Uniti sfornare tanti geni, molti dei quali addirittura vincitori del Nobel? Se le superiori sono veramente come sopra descritto, dove si consegue l’indispensabile preparazione per frequentare con profitto gli studi universitari?
Mi viene in mente un cattivo pensiero: che l’esasperato amore per il privato, tipico di quelle latitudini, riservi il compito della vera istruzione alle esclusive e costose scuole private e la scuola statale – che deve comunque esistere, se non altro per accogliere gli studenti delle fasce economicamente più deboli, gli immigrati, ecc. – faccia il meno possibile per gravare il meno possibile sul bilancio dello Stato (complice anche la crisi mondiale ulteriormente accresciuta dal coronavirus)?
Daniele Orla
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