Ill.mo Sig. Ministro Valditara,
sono un insegnante di scuola secondaria di I grado e ho appena concluso gli Esami di Stato di fine del primo ciclo dell’istruzione: un momento importante in cui il mio grado di scuola consegna alle scuole del secondo ciclo studenti che ha seguito per tre anni. Un momento, quindi, anche delicato e che mette in gioco il tema della valutazione più che negli anni e nei passaggi intermedi.
La valutazione è una delle questioni più difficili e sempre aperte (e probabilmente irrisolvibili) del percorso di istruzione: perché contenere uno studente dentro un’espressione (che sia numerica o verbale) è sempre un’approssimazione, e quindi una verità estremamente parziale – a maggior ragione se si usano sintesi numeriche. È un serio problema di comunicazione fra la scuola, lo studente, la famiglia e – nel caso del passaggio da un ciclo all’altro – anche fra scuole. Succede, per esempio, che uno studente (o la sua famiglia) fatichi ad accettare una valutazione in sé, oppure perché scatta il confronto con le valutazioni dei compagni: procedimento sbagliato, ma comprensibile e umano. E tuttavia quello studente che si lamenta perché mette a confronto il suo “otto” con “l’otto” del compagno, ha ragione: lo stesso voto racchiude storie diverse e con sfumature molteplici, ma non riesce e non può raccontarle – ecco perché sarà sempre approssimativo e parziale.
Per fortuna nel passaggio da un ciclo all’altro lo studente viene presentato da tre documenti valutativi: pagella (dove, oltre ai voti, viene espresso un giudizio globale e il giudizio di comportamento), certificazione delle competenze, voto dell’Esame di Stato; questo non elimina il problema, ma almeno offre alle scuole che accolgono, qualche elemento informativo in più.
Purtroppo, il disegno di legge da Lei fortemente voluto, che intende rivedere la valutazione del comportamento in direzione di una maggiore severità (attualmente in discussione alla Camera), ripristina il voto di comportamento al posto dell’attuale giudizio descrittivo. Per quanto possa valere la mia opinione, non sono pregiudizialmente contrario a introdurre maggiore severità a scuola; sono, anzi, d’accordo che la valutazione del comportamento debba “fare media”, cioè debba avere lo stesso peso delle valutazioni disciplinari perché rientra nella presentazione globale (ma sempre parziale) del profilo dello studente. Ma, signor Ministro, non ci tolga le parole!… Lasci che questo voto sia comunque accompagnato da una descrizione che aiuti a comprendere il perché non tanto di una valutazione alta, quanto di una valutazione intermedia o bassa la quale, nella sua assolutezza, potrebbe risultare come una sorta di “marchio d’infamia”: queste informazioni – pur nella loro inevitabile sinteticità – possono aiutare a presentare meglio lo studente, soprattutto nel passaggio ad altra scuola.
I numeri semplificano, ma possono anche risultare brutali quando intendono parlare di persone. La valutazione numerica semplifica, ma è assai rischiosa poiché rischia di identificare la persona (una persona per definizione fragile perché in crescita) con un numero; e rischia di svilire il mandato della scuola che è quello di istruire, ma anche di accompagnare e formare le cittadine e i cittadini di domani. Questo delicato processo, che giorno dopo giorno si basa fondamentalmente sulla parola (della lezione, del dialogo, dell’incoraggiamento, del richiamo, della consolazione…), non può conchiudersi eliminando del tutto le parole.
Signor Ministro, non elimini le parole dalle valutazioni!
Lucio D’Abbicco
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