Di recente si parla moltissimo di disagio giovanile, di aumento della violenza tra i giovanissimi, di fragilità psicologica, soprattutto dopo la pandemia, tra gli studenti. Ad inserirsi nel dibattito è stata la nota conduttrice televisiva Simona Ventura ai microfoni de La Repubblica.
La Ventura ha spiegato che, a suo avviso, c’è molta differenza tra i ragazzi di oggi e le generazioni passate, proprio nel modo in cui si rapporta ai fallimenti: “Noi ragazzi cresciuti negli anni Ottanta eravamo abituati a cadere e rialzarci, a mordere ogni opportunità, e abbiamo fatto l’esatto contrario con i nostri figli, e questo è un po’ strano. I miei figli hanno le loro attività se vogliono consigli io ci sono, sennò non intervengo”, ha esordito.
“La generazione dei ventenni è fragilissima, sono nativi digitali e la loro sicurezza è molto minata proprio dai social, per cui bisogna avere il tatto di farli diventare più forti, e questo vuol dire che devono fare le loro esperienze, sapere che si cade e ci si rialza. Per loro ‘cadere’, ‘fallimento’ sono parole che non esistono, sono assuefatti al diritto di avere. Questo è stato il nostro errore, gli abbiamo dato tutto prima che chiedessero. L’importante invece è buttarsi, poi va bene, va male. Conta solo essere persone perbene”, ha concluso, parlando anche del rapporto genitori-figli.
Questa questione è stata più volte toccata dallo psichiatra Paolo Crepet, che mal vede i genitori di oggi: “Mia mamma non amava i Beatles. Ai genitori di oggi piacciono i Maneskin. Il conflitto è diventato una sorta di baratto. La rivoluzione dei ragazzi è stata taciuta dalla comunità, che l’ha avvolta in un conservatorismo estremo. Oggi il nonno compra le stesse cose dei suoi nipoti, non è mai successo nella storia umana. Quella cesura era un fatto salutare, ognuno viveva il tempo giusto della sua esistenza. Oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli, tutto questo appiattisce e amicalizza un rapporto che invece deve essere fondato sul riconoscimento dei ruoli. Non esiste più il capitano, il punto di riferimento. È forse il compimento del ‘68, dalla rivolta antiautoritaria. Ma ora una generazione che ha contestato i padri è diventata serva dei propri figli. Non è capace di dire i no, di orientare senza usare l’autoritarismo, ma l’esperienza. C’è un armistizio: io ti faccio fare quello che vuoi, tu non mi infliggi la tensione di un conflitto. Ma così si spegne il desiderio di autonomia, l’ansia di recidere i cordoni, l’affermazione piena della propria identità. Il conflitto generazionale è sparito. E non è un bene”, ha detto qualche giorno fa.
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