L’apertura effettiva della contrattazione nazionale per il pubblico impiego non sarà né semplice né immediata, tutt’altro.
Al di là dei toni sindacali (per il momento le posizioni sono più di attesa che di “attacco”) è chiaro che la trattativa sarà difficilissima: 300 milioni di euro per tutto il pubblico impiego rappresentano una somma obiettivamente inaccettabile (solo per la scuola occorrerebbero almeno due miliardi di euro per poter garantire un aumento medio di 120 euro netti mensili).
Nell’incontro con i sindacati il ministro Madia ha però anticipato che in autunno, quando si metterà mano alla legge di stabilità per il 2017, il tema delle risorse per i contratti verrà affrontato con particolare attenzione.
La notizia, di per sè positiva, sta però a significare che la trattativa si potrà protrarre anche nel 2017 e difficilmente si concluderà prima della prossima estate.
I sindacati, per intanto, hanno già posto una condizione difficilmente ricevibile dal Governo.
La richiesta è infatti quella di una revisione complessiva delle materie oggetto di contrattazione: in concreto i sindacati vorrebbero che si tornasse alla situazione ante-legge Brunetta e cioè a quando i contratti potevano derogare dalle leggi e potevano di fatto riguardare anche l’organizzazione degli uffici e molto altro.
Ma, per rispondere positivamente alla richiesta sindacale, sarebbe indispensabile abrogare alcuni punti fondamentali della legge Brunetta che, a suo tempo, era stata ostacolata in modo piuttosto blanco dal PD.
Appare dunque davvero difficile che ora, a distanza di 7 anni, l’attuale maggioranza di Governo possa accettare di tornare indietro.
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