Il quotidiano Il Manifesto pubblica oggi un ampio articolo che merita di essere segnalato. L’intervento è firmato da Francesco Sinopoli, segretario nazionale Flc-Cgil, e da Andrea Ranieri, storico dirigente sindacale che nel corso degli anni ha ricoperto numerosi incarichi di rilievo (fra il 2006 e il 2008) è stato anche senatore della Repubblica, eletto nelle liste dei DS.
“La bozza dell’accordo di governo tra M5S e Pd circolata ieri – scrivono Ranieri e Sinopoli – parla esplicitamente, al punto 1, di ‘maggiori risorse per scuola, università, ricerca’. E aggiunge inoltre che la scuola è ‘bene comune’. Ne prendiamo atto. Ma se le risorse finanziarie sono essenziali, non sono tutto”.
“Il sistema dell’istruzione italiano – spiegano – ha dovuto sopportare in questi anni il peso di riforme che sembravano avere come unico scopo quello di adattarlo al mondo così com’è, e alle ideologie che lo hanno reso tale. L’individualismo, la meritocrazia, il crescere vertiginoso delle disuguaglianze, che il sistema educativo si limitava nella maggior parte dei casi a registrare. È ora di riprendere una riflessione su come l’istruzione possa essere strumento centrale di contrasto alle disuguaglianze e fucina di pensiero critico, perché solo una scuola che pensa che il cambiamento è possibile e che dà agli strumenti per cambiare il mondo è la ‘buona scuola’ ”.
Ma Sinopoli e Ranieri si addentrano anche in una analisi sui problemi pedagogici e organizzativi del nostro sistema scolastico: “È giunta l’ora di dirsi con chiarezza che un’istruzione che fa della frammentazione disciplinare la ragione fondamentale della trasmissione del sapere e della sua stessa organizzazione interna amplifica le disuguaglianze fra chi ha a casa qualcuno in grado di aiutare i ragazzi a ricomporre un sapere frammentato e chi la frammentazione la subisce. Nel passaggio dalle elementari, che sono ancora una scuola dell’apprendimento e della centralità del bambino, alle medie, che sono scuola dell’insegnamento disciplinare, calano le competenze degli studenti e in maniera diversificata rispetto al livello sociale e culturale delle famiglie, disuguaglianze che segneranno poi l’intera carriera scolastica dei ragazzi e la loro stessa possibilità di scegliere”.
Secondo gli autori dell’articolo vanno evitati i salti fra i diversi ordini di scuola; per raggiungere questo obiettivo bisogna lavorare ad “una organica riforma dei cicli, rendendo la comprensività fra scuole elementari e medie un orientamento didattico vincolante e non un semplice fatto burocratico amministrativo utile a tagliare risorse. La risposta legislativa a questo quesito di fondamento, di senso e di struttura, dovrebbe essere una priorità della prossima azione di governo”.
Senza trascurare le conseguenze sulla organizzazione del lavoro quotidiano a scuola: “Tutto ciò avrebbe bisogno di una didattica nuova, che rompa a tutti i livelli l’individualismo docente e discente. Superando la lezione frontale e l’interrogazione individuale come modalità didattica prevalente, e scegliendo e incentivando la nascita della cooperazione educativa, che chiami tutte le discipline ad un lavoro comune mirato a sviluppare le diverse capacità dei diversi studenti”.
I due dirigenti sindacali osservano poi che “la cooperazione educativa è anche la condizione per mettere la scuola al livello dei problemi che oggi una gran parte di studenti, quelli che scioperano al venerdì per il clima, sentono come prioritari”.
Finalità dell’educazione, affermano in sintesi, non è quella di aiutare i givani ad “adattarsi al mondo”, ma al contrario di fornire gli strumenti culturali per “evitare che il genere umano distrugga il mondo e distrugga se stesso”.
La domanda cruciale alla quale la scuola deve oggi contribuire a trovare un risposta è: “Come cambiare il nostro modo di produrre, di consumare, di vivere per ridare un futuro alle piante, agli animali, al paesaggio del nostro mondo, a no stessi?”
Per concludere con una presa di posizione sul tema della autonomia: “Una scuola di questo tipo non può essere delineata solo dal centro. Ha bisogno di autonomia, non in una logica aziendale e mercatistica, ma come comunità di persone che partecipano ad un progetto educativo comune. E ha bisogno del territorio. Di comuni soprattutto che mettano a disposizione della scuola le opportunità educative presenti nel territorio”.
Secondo Ranieri e Sinopoli questa prospettiva è esattamente “il contrario dell’autonomia differenziata che sostituisce o sovrappone al centralismo statale un nuovo centralismo regionale che finirebbe per rendere irreversibili le disuguaglianze”.
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