Quella vista al teatro greco di Siracusa, nell’ambito della cinquantacinquesima stagione di rappresentazioni classiche, promossa dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico (repliche fino al 6 luglio), una “Lisistrata” che parla alla pancia dello spettatore, piuttosto che dare nuova vita e nuove sollecitazioni alla bella commedia di Aristofane.
Stiamo pensando, in prima istanza, all’indimenticabile musical “Un trapezio per Lisistrata” che la coppia Garinei & Giovannini realizzò nel 1958, con una strepitosa Delia Scala protagonista, affiancata da monumenti quali Nino Manfredi, Ave Ninchi, Mario Carotenuto, Paolo Panelli e, last but not least, il Quartetto Cetra e le musiche di Gorni Kramer (“Donna, tutto si fa per te, tutto, pur di piacere a te…”).
Se sessantuno anni fa incombevano sul mondo i contrasti fra due blocchi, americano e sovietico, e la Guerra fredda, oggi non rappresentano un pericolo minore i tanti conflitti sparsi per tutto il globo, quindi la vicenda della commedia aristofanesca ha ancora una sua preponderante attualità ed è legittimo che venga messa in scena e che la si adatti al gusto e alla sensibilità dello spettatore contemporaneo.
Il plot di questo capolavoro è assai noto. Per porre fine alle guerre che affannano le principali poleis greche, Lisistrata invita le mogli dei combattenti ad astenersi dai doveri coniugali e, occupata l’acropoli, fanno in modo che gli uomini non abbiano più il controllo di tutte le risorse, neanche quelle sessuali, perché la smettano di fare la guerra.
Ci pare che il regista Tullio Solenghi, qui al suo primo cimento nello splendido monumento aretuseo, abbia un po’ calcato la mano su un linguaggio licenzioso, di grana grossa, che spesso varca i confini del turpiloquio.
Non solo. Si è affidato per lo più alle tecniche del varietà televisivo più retrivo (con il suo Trio ci aveva abituati a cose di ben più alta qualità), alla mescolanza di dialetti per i singoli personaggi, anacronismi, goliardate e attualizzazioni, cose, ahinoi, fin troppo abusate – diremmo che si tratta di trovate da recita scolastica, se non rischiassimo di sminuire il grande impegno che, dal canto loro, hanno messo i circa duemila e cinquecento giovani provenienti da vari istituti scolastici europei e non solo, che hanno animato la splendida rassegna di teatro giovani promossa il mese scorso dallo stesso Inda a Palazzolo – e, soprattutto, all’ostentazione fisica di “mostruose erezioni” sotto le vesti degli attori, che nulla affidano alla fantasia.
E dire che il simpatico attore genovese aveva a disposizione un cast superlativo. A cominciare da Elisabetta Pozzi, che fa la mattatrice e spennella magistralmente, con grande forza il ruolo del titolo. Con lei, sulla skené e sull’acropoli/praticabile approntati da Andrea Viotti, che firma anche i coloratissimi e variopinti costumi, con i ben organizzati movimenti guidati dalla coreografa Paola Maffioletti, un drappello di bravissimi attori e di caratteristi che sbozzano con tempi rigorosi e ritmi sempre vivaci i singoli personaggi, fra il caricaturale e il popolaresco. Li citiamo e li applaudiamo tutti: Vittorio Viviani, Federica Carruba Toscano, Giovanna Di Rauso, Viola Marietti, Totò Onnis, Mimmo Mancini, Tiziana Schiavarelli, Silvia Salvatori, Elisabetta Neri, Margherita Carducci, Federico Vanni, Giuliano Chiarello, Roberto Alinghieri, Franco Mirabella, Riccardo Livermore.
Il Coro è costituito dagli allievi dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico, sezione “Giusto Monaco”, con la guida della corifea Simonetta Cartia: Giulia Antille, Beatrice Barone, Serena Carignola, Emanuele Carlino, Andrea Di Falco, Adele Di Bella, Federica Gurrieri, Irene Jona, Gabriele Manfredi, Giulia Messina, Silvia Messina, Federico Mosca, Roberto Mulia, Andrea Palermo, Stefano Pavone, Daniel Pistoni, Gabriele Rametta, Isabella Sciortino, Alba Sofia Vella, Salvatore Ventura e Gabriella Zito.
I bambini orfani di guerra sono impersonati dagli allievi dell’Accademia d’arte del dramma antico, sezione “Fernando Balestra”: Matteo Bariletti, Gabriele Buonanno, Francesco Cutale, Gabriele De Martino, Mattia Maccora, Pierpaolo Pantano, Riccardo Scalia, Giorgio Signorelli, Nicolò Spada, Ettore Vadalà.
Tullio Solenghi si ritaglia per sé il ruolo del reduce Cinesia, anche lui infoiato come i suoi colleghi e riserva ad un suo amico e sodale quello di Pedasta, per un cameo en travesti nel quale Massimo Sinatra… pardon…
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