La decisione del Miur e della ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, di trasformare gli Smartphone in strumenti didattici, affidando ad una commissione ad hoc le motivazioni dell’apporto in classe dello strumento, continua a non trovare proseliti.
Anche in seno ad istituzioni vicine allo stesso Miur. Come l’Indire, che il 22 novembre ha presentato e analizzato i risultati di un’indagine Ocse Pisa sul problem solving collaborativo (Psc).
Ebbene, per l’Istituto di valutazione, più gli studenti sono ‘digitali’, ovvero stanno troppo tempo su Smartphone in classe, meno sono propensi al lavoro di squadra.
In base a quanto rivelato dell’Invalsi, all’Italia (3.500 i 15enni intervistati) l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) in classe è “associato in maniera inversa” ai risultati ottenuti nel problem solving collaborativo.
In pratica, meno si utilizzano computer, Tablet e Smartphone in classe, più bravi si è nel lavoro di squadra.
La collaborazione tra studenti, osserva l’Invalsi, diminuisce anche quando aumentano le conversazioni sulle Tic nel tempo libero.
Dall’indagine emerge inoltre che in Italia, rispetto agli altri Paesi Ocse, le competenze in lettura, scienze e matematica non vanno di pari passo rispetto alle competenze in problem solving collaborativo: essere bravi nelle materie tradizionali conta meno per ottenere un buon risultato in Psc.
In classe, hanno spiegato i rappresentanti Invalsi, non si lavora contemporaneamente sulle competenze nelle discipline curriculari e sulle competenze trasversali.
Anche sugli studenti con background migratorio, il divario tra i risultati in Psc di chi frequenta la scuola in Italia e i coetanei autoctoni è minore rispetto a quanto accade nelle scuole degli altri Paesi Ocse.
Contro l’utilizzo degli smartphone in classe, si sono posti anche diversi accademici. Uno di questi è il professore Adolfo Scotto Di Luzio, docente di Storia della Pedagogia all’Università degli Studi di Bergamo, intervenuto qualche settimana fa, nella Giornata Mondiale dell’insegnate, al convegno promosso dalla Gilda degli Insegnanti e dall’Associazione Docenti Art.33: “l’introduzione dello smartphone in classe – ha detto Di Luzio alla Tecnica della Scuola – non ha alcuna valenza educativa ma serve soltanto a restituire agli studenti le loro differenze sociali, distrarli e mancare di rispetto agli insegnanti”.
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