Negli ultimi due anni si è investito molto sul digitale nella scuola, ma questi investimenti stanno veramente rinnovando il sistema scolastico e il modo di studiare?
Probabilmente ancora no. È il dubbio che Antonio Fini, dirigente scolastico e docente del piano formativo previsto nel PNSD descrive in maniera molto puntuale nel suo articolo pubblicato nel sito di Agende Digitale.
La tecnologia, se per certi versi ha cambiato in maniera vistosa alcuni aspetti della nostra vita, basti pensare all’impatto degli smartphone sulle abitudini quotidiane (il 50% della popolazione mondiale usa internet e il 37% è utente di social network.
In termini numerici, sono cifre impressionanti, rispettivamente 3,7 miliardi di persone e 2,7 miliardi.) per altri (vedi Pubblica Amministrazione e la scuola) ancora non ha inciso in maniera cosi pesante.
Non è ancora possibile interagire, infatti con l’Inps o l’Agenzia delle Entrate tramite un dispositivo mobile o prenotare una visita medica ospedaliera tramite internet anche se la tecnologia lo consentirebbe senza alcuno sviluppo particolare.
Quindi, anche se alcuni primi approcci al mondo del digitale sono evidenti, i processi e le modalità operative sono le stesse di trenta anni fa.
E nella scuola? È qui che secondo Fini si registra il paradosso più grande: la maggior parte degli studenti afferma che, nonostante l’uso massimo dei dispositivi mobili, non sembra usarli per scopi didattici.
Altro aspetto importante è la grande diffusione eterogena di software locali utilizzati per la dematerializzazione ma non si è mai pensato ad un cloud centralizzato a livello nazionale.
Non solo, i processi prevedono che occorre conservare sempre una copia cartacea, quindi nonostante l’approccio seppur approssimativo alla nuova tecnologia i processi interni agli Istituti sono rimasti gli stessi di sempre.
Una vera e propria “carrozza senza” cavalli che rappresenta, una delle prime automobili, anche se a prima vista sembra una carrozza. Una carrozza senza cavalli, ma con ancora tutte le caratteristiche del precedente modello tecnologico di mezzo di trasporto: una innovazione incompiuta!
E fondamentale quindi affiancare alla tecnologia un cambiamento radicale nella cultura delle persone e nei processi del lavoro.
Altro dilemma interessante descritto da Fini è quello relativo alla copertura Wifi: a cosa serve se la “didattica rimane legata a modalità e prassi basati sul paradigma precedente” cioè il consueto modello “lezione – libro di testo – studio individuale/compiti a casa -compito in classe – interrogazione”?
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L’OCSE ha pubblicato ne 2015 il documento “Schools for 21st-Century Learners” in cui vengono indicate alcune idee per la creazione degli ambienti di apprendimento innovativo “Innovation in education is not just a matter of putting more technology into more classrooms; it is about changing approaches to teaching”, proseguendo poi con alcuni suggerimenti operativi (“regrouping teachers, regrouping learners, rescheduling learning, and changing pedagogical approaches”).
“Il digitale”, conclude Fini nel suo articolo “non è innovativo di per sé, la metafora delle carrozze senza cavalli ce lo ricorda quotidianamente. Il problema, oggi, sembra essere trovare il coraggio per andare oltre”.
Una sfida quindi che l’ambiente scolastico dovrebbe cogliere agganciandosi al treno dell’innovazione lanciato da alcune aziende italiane. Una su tutte la Ferrari che in un progetto molto sfidante sta producendo tramite la tecnologia “additive manufacturing” le ormai famose stampanti 3D il pistone dell’ultimo modello della Ferrari. Ma tante altre sono le competenze descritte nella scelta tecnologica della Ferrari, le stesse che la scuola dovrebbe mettere in campo per far emergere i talenti dai propri studenti.
Una sfida che se la scuola volesse prendere in considerazione potrebbe formare, ad esempio una progettazione per competenze nella stampa 3D in un contesto lavorativo innovativo come quello della Ferrari e di altre aziende simili.
Ma per raggiungere l’obiettivo è necessario che anche le aziende facciano la loro parte dando il loro contributo nella produzione dei materiali didattici e suggerendo le competenze da inserire nei diversi curricoli degli istituti tecnici e professionali.
In questo modo le scuole hanno la possibilità di diventare la palestra della “motivazione ad apprendere” degli studenti perché verrebbero impiegati gli stessi processi educativi legati agli interessi quotidiani degli stessi: così, si avrebbe una partecipazione attiva degli studenti alle programmazioni didattiche fatte a scuola
Una partecipazione attiva di tutte le componenti della scuola, studenti compresi, che consentirebbe di completare finalmente la “carrozza senza cavalli”.
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