L’onda lunga del digitale interattivo, del web e dei social network sempre portata di mano, si insinua nelle case domestiche, riducendo sempre più il dialogo tra genitori e figli: quella che era più di una sensazione, derivante dall’alto numero di ore che anche in famiglia si dedicano alla consultazione di smartphone, tablet e computer, ora è una certezza. Perché, proprio a causa delle distrazioni digitali (con controlli continui del proprio dispositivo digitale connesso in media ogni otto minuti), un ragazzo su tre, tra i 10 e i 21 anni, non svolge alcuna attività – spesso nemmeno la semplice interazione verbale – con ai genitori. Mentre la metà di coloro che passano tanto tempo in rete, diventa vittima di atti di bullismo.
Il quadro sugli effetti nefasti delle distrazioni digitali – che costringono anche le scuole a prednere provvedimenti sempre più restrittivi o a mediare con break concordati e finalizzati alla consultazione dello smartphone – emerge con limpidezza dai risultati della ricerca “Mi ritiro in rete“, promossa dall’Associazione Nazionale Di.Te. in collaborazione con il portale Skuola.net.
Come quadro generale e di partenza, va detto che quasi il 33% del campione trascorre sullo smartphone 3-4 ore, il 12,75% dalle 5 alle 6 ore e il 15,8% supera le 6 ore.
Inoltre, il 41,85% ha spesso difficoltà a dormire e il 4,11% dice che il suo riposo è poco ristoratore.
Il 5,91% del campione dichiara di non avere amici nella vita reale, mentre il 13,28% è convinto che i veri amici siano quelli online; il 9,31% degli esaminati preferisce giocare on line, piuttosto che uscire.
Un altro aspetto preoccupante messo in luce dallo studio è che il 44,97% del campione ha subìto un atto di bullismo, mentre il 17,12% dichiara di averne compiuto uno.
Giuseppe Lavenia, psicologo e presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te, ricorda che un ragazzo sottoposto ad un qualsiasi “atto di bullismo, che è una forma di esclusione sociale, rischia di auto-isolarsi. Il bullismo, infatti, è una delle motivazioni che porta all’auto-reclusione. Stiamo diffondendo la cultura dell’esclusione, molto spesso sono anche i genitori a dare questo esempio, uscendo dalle chat di gruppo senza dare spiegazioni, o non dando risposte, o minimizzando le dichiarazioni di malessere dei figli, rispondendo con un “massì, perché dai importanza a quelle parole?”.
Gli esperti spiegano che i ragazzi, anche per questo motivo, spesso non parlano delle situazioni che li hanno feriti. Non si sentono liberi di farlo. In più, non coltivando esperienze offline e la memoria legate alle proprie radici, non hanno legami profondi e non si sentono di esternare con altri ciò che provano.
C’è poi il problema della mancanza di coscienza nel far “girare” immagini private. Addirittura, il 96% dei giovani intervistati, inoltre, non si pente di aver scambiato con il partner o con un conoscente foto intime.
Già tra i 13 e i 15 anni, scambia foto intime il 6% del campione; tra i 16 e i 18 anni lo fa il 17,1% dei ragazzi, tra i 19 e i 21 il 41,7% e sopra i 21 fa abitualmente sexting il 21,4% dei giovani.
Come si può fare per sensibilizzare i giovani? “Far cadere i tabù – risponde Daniele Grassucci, direttore di Skuola.Net – Gli adulti molto spesso non capiscono i nuovi linguaggi dei ragazzi, associano lo scambio di immagini intime alla pornografia. Ma questi fenomeni sono largamente diffusi, stanno diventando la regola, e non vanno lasciati al fai-da-te. Bisogna parlarne in famiglia e nelle scuole. Bisogna favorire la consapevolezza su questi temi, per sensibilizzare sui pericoli”.
Questi fenomeni, conclude Grassucci, “vanno prevenuti portando nelle scuole esempi, parole a testimonianza di quanto accaduto, utilizzando il linguaggio dei ragazzi”.
I risultati della ricerca “Mi ritiro in rete” verranno presentati il 23 novembre a Milano, in occasione della Giornata Nazionale sulle dipendenze tecnologiche e il cyberbullismo.
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