Tempi difficili, direi burrascosi. Non solo per la pandemia, ma per alcune sue implicazioni. Quelle che hanno portato dal “nessuno si salva da solo” di un anno fa al “è giusto che ognuno pensi alla propria salute”. Frasi quasi ovvie, di senso comune, ma di significato opposto.
Infatti, le implicazioni le ritroviamo nei toni e tempi difficili che stiamo vivendo. Anche per un uso dei social che rende più difficile la verifica incrociata, con comune riconoscimento della competenza accertata.
Ed è sempre più difficile sopportare la reciproca delegittimazione, dell’odio come motore politico e sociale.
Ci vorrebbe una pubblica moratoria. Perché l’escalation, da una parte e dall’altra, sta producendo un crescente indignato distacco in coloro che non vogliono alimentare la logica partigiana così riassunta da Pascal secoli fa: “verità al di qua dei Pirenei, errore al di là”.
Da tutti, come da tv e giornali, è giusto pretendere una sola cosa: che rimettano al centro le notizie, non la loro strumentalizzazione univoca, anche se oramai è un po’ difficile distinguere tra fatti ed opinioni.
Lo sappiamo, la demonizzazione dell’avversario è la legge più antica del mondo.
L’ha studiata bene un giurista tedesco, Carl Schmitt, nei termini della logica amico-nemico. Chi non è mio amico, è mio nemico. A prescindere. La politica (la quale è comunque specchio della società) non sarebbe altro che “decisione”, capacità di scegliere da che parte stare. Per cui gli amici ed i nemici sono, da versanti diversi, fatti in realtà della stessa pasta, si sostengono cioè a vicenda. Non saprebbero chi sono, senza il nemico da contrastare e combattere. Chi non si adegua a questa logica? Semplicemente viene considerato “superato” da chi la lotta la mantiene ferma, ne riconosce cioè la centralità.
Chi è il nemico? E’ l’altro, il diverso, chi non la pensa come me, chi segue altre abitudini, chi parla altre lingue, chi ha altre fedi religiose, o fedi calcistiche, o fedi politiche, ecc. A prescindere.
Perchè la vita è intesa solo come lotta, decisione, scelta. Non esiste una sintesi tra le parti che colga il bene in tutti. Non conta l’analisi incrociata, argomentata, pensata.
Quanti oggi vivono e prosperano solo sulla base dello scimittiano amico-nemico? Il “pensare positivo”, cioè non “contro”, ma “per”, penso sia la strada più difficile, ma forse, a lungo andare, l’unica che dà spessore, al di là di scelte ed opzioni individuali o di gruppo. Perchè tutto passa, e solo alcune idee di fondo ci consentiranno di consegnare alle nuove generazioni (quasi un ideale testimone) quello che di buono abbiamo tentato di realizzare.
Io penso sempre che la prima virtù sia la mitezza. Solo dopo devono contare valori, comportamenti, progetti. Ma senza la mitezza anche la politica diventa la guerra condotta con altri mezzi. Solo così si capisce che politica non deriva da “pòlemos”, cioè guerra, ma da “pòlis”, cioè città, convivenza, valori condivisi.