Da mesi si fa un gran parlare di scuola e didattica, anche da parte di non addetti ai lavori. Molti hanno detto e ripetuto che “la Didattica digitale non è scuola perché la scuola è socializzazione”.
E’ vero che la scuola è socializzazione: la scuola è una tra le principali agenzie di socializzazione. Ma, come ogni verità, anche questa si presta ad essere strumentalizzata e distorta.
La socializzazione è il processo con cui i ragazzi entrano a far parte della società, apprendendone regole, conoscenze, competenze e valori. Tuttavia, questo non si realizza tanto con un processo di acquisizione verbale, quanto con gli scambi non verbali che avvengono nei gruppi. A scuola, ad esempio, i ragazzi apprendono come comportarsi non tanto perché il docente dice loro di fare o di non fare una cosa quanto dalle reazioni non verbali dell’insegnante: un sopracciglio sollevato o un sorriso disteso valgono più di mille parole, perché operano sulla dimensione emotiva.
E questo vale anche nel rapporto tra i ragazzi che per lo più comprendono i comportamenti accettati dalla loro comunità dagli sguardi dei compagni.
Ma nella scuola di questi mesi le espressioni facciali sono state abolite, dato che professori e ragazzi girano – giustamente – con le maschere. Quando si difende la “scuola in presenza” si dimentica che parliamo di una scuola in “maschera”.
Una scuola in cui tutta la comunicazione di tipo relazionale ed emotiva – che, come dicono gli psicologi, è “analogica”, cioè non verbale e passa per lo più per le espressioni facciali – è stata sostanzialmente soppressa. Ebbene, questa è “socializzazione”? Assolutamente no. Non può esistere socializzazione senza vedere le espressioni altrui. I ragazzi e gli insegnanti, in questa scuola “in presenza”, sono come dei ciechi: si incontrano senza guardarsi in faccia.
Io tremo al pensiero della cecità relazionale che è stata imposta ai i ragazzi italiani (e che ancora viene imposta ai più piccoli). Ma mi preme di più ricordare che la comprensione dell’effetto delle proprie parole sui ragazzi è una necessità professionale per il docente. Un allievo di don Milani, criticando un celebre professore di pedagogia, lo dipingeva come “uno di quelli che i ragazzi non ha bisogno di guardarli in faccia, perché li sa a mente come noi le tabelline”.
Ebbene, noi, docenti di liceo, abbiamo bisogno di guardarli in faccia, i ragazzi, perché dobbiamo aiutarli a comprendere e ad appassionarsi alle materie. La dad lo consente, la maschera no.
Si sarebbe potuto stabilire che, sin dall’inizio, la scuola alle superiori fosse in presenza solo per i laboratori. Si è preferito seguire l’onda populista e riaprire tutto. Si sono spesi fiumi di soldi pubblici per questo. Per questo molti dovranno chiudere le loro attività, molti si sono ammalati, altri si ammaleranno in futuro; e tutto solo per avere una socializzazione peggiore. Mai tanto fu sacrificato per così poco.
Paolo Bussagli